Autonomia differenziata: prima… alcuni italiani

Autonomia differenziata: prima… alcuni italiani

La prossima domenica si vota in Emilia-Romagna per il presidente della Regione e formare il nuovo parlamentino regionale. Mentre da una parte la destra dominata dalla Lega intende capitalizzare i consensi raccolti in tutti questi anni di allarmismo sui migranti e dall’altra il centro-sinistra lancia anche attraverso il fenomeno delle Sardine la riscossa contro l’ennesimo “fascismo alle porte” appellandosi al “voto utile”, i veri temi restano sotto il tappeto. E uno di questi, uno dei diversi che accomunano destra e centro-sinistra dal Sì TAV alle politiche sul lavoro a quelle sulla “sicurezza” (che il ministro Lamorgese continua ad applicare, all’attacco ai lavoratori in lotta (vedi le multe di Prato), è l’autonomia differenziata.

Cosa significa in buona sostanza? L’autonomia differenziata, prevista dall’articolo 116, comma 3 della Costituzione, permette di trasferire alle Regioni le competenze che l’articolo 117 appartengono alla «legislazione concorrente» con lo Stato. Oltre a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, il dossier è stato avviato da Piemonte, Toscana, Liguria e Marche. Quali sono queste competenze? Be 23 materie tra cui spiccano: sanità, sicurezza sul lavoro, istruzione, beni culturali, ricerca, infrastrutture.

La logica di fondo è: noi produciamo di più, paghiamo più tasse, dunque dobbiamo essere i maggiori beneficiari in servizi rispetto ad altre zone del paese dove si lavora di meno e si produce meno ricchezza sociale. La secessione dei più ricchi.

In pratica non è altro che la secessione autonomista nei sui vantaggi materiali sulle popolazioni (guarda caso del Nord), dal resto del paese, mandando in soffitti i principi costitutivi della nostra Repubblica basati sull’uguaglianza, solidarietà, pari opportunità. L’interesse generale. Una parte del paese, la più ricca, si separa sul piano del benessere garantito dai suoi standard produttivi, per andare ad agganciarsi all’area nord europea. Tanto si è sempre Europa, no?

Così come l’Unione Europea con i suoi trattati ha ridisegnato egemonie economiche, un’organizzazione internazionale del lavoro e delle filiere produttive, oggi in questo stesso contesto va a “riequilibrare” una geografia del benessere e una redistribuzione della ricchezza sociale prodotta dal lavoro secondo la forza e l’influenza geopolitica di ogni area interna all’UE.

Ciò significa più soldi e migliori servizi per le aree avanzate, che combinazione corrispondono alle regioni proponenti, quasi tutte del Nord Italia e anche un paio del Centro. Altro che questione meridionale! il risultato sarà una polarizzazione ancor più grande tra Nord “avanzato” e ricco e Sud “arretrato” e povero.

Già con il pareggio di bilancio inserito nell’art.81 della Costituzione con un colpo di mano di tutte le forze politiche bipartisan nel 2012, sotto il governo Monti, al centro della politica economica dei governi non ci sono più i cittadini ma “i conti in ordine”, ossia i parametri del fiscal compact imposti da Bruxelles, a costo di tagliare servizi, pensioni, salari nel nome del neoliberismo più sfrenato. E abbiamo visto cos’ha determinato negli ultimi anni sul fronte dei diritti sociali e sul lavoro.

Con l’autonomia differenziata si va a rimodulare nell’ambito del pareggio di bilancio e dei suoi parametri la ripartizione dei servizi erogati, dei fondi per garantirli, superando i principi di uguaglianza dati dalla Costituzione stessa (Art. 4. 1. comma a. Che modifica l’Art. 119… nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea»): un’altra bella picconata ai diritti sancit dalla nostra Carta, che va a differenziare la popolazione in cittadini di serie A e di serie B a seconda della regione di appartenenza e, in base a questo, del censo.

I vincoli economici dei trattati UE faranno il resto nello sviluppo di politiche da parte delle regioni e delle pubbliche amministrazioni in generale che privatizzeranno ancor più servizi alla persona essenziali come la sanità, politiche già esistent col patto di stabilità e che avranno più vigore con questa “armonizzazione dei bilanci pubblici“. Ciò significa che il privato entra in servizi essenziali che verranno messi a profitto differenziando i cittadini per censo anche dentro le regioni che godono dell’autonomi differenziata.

Il futuro del paese, dunque, è quello di diventare sempre di più una società classista, dove i benestanti possono permettersi una migliore sanità e istruzione, migliori servizi in generale, perché li pagano, mentre le fasce più povere avranno servizi di scarsa qualità e con tempi molto più lunghi soprattutto nella sanità stessa. Questa, in particolare, seguirà il modello statunitense, su cui le grandi compagnie assicurative, e dietro a esse la finanza, fanno profitti colossali mentre le cure erogate seguono i criteri della copertura assicurativa.

L’euroliberismo, che impedisce gli interventi statali in economia nel nome della libertà del mercato, spinge sempre di più le classi politiche di qualsiasi parte, destra o sinistra che siano, ad adottare questi criteri. I trattati UE, non sono idiozia pura, ma calcolo ben congegnato per imporre a qualsiasi governo queste politiche sia a livello centrale che locale, proprio per stare dentro i parametri voluti da Bruxelles. Il ragionamento fatto sia dal PD che dalle destre, Lega e compagnia cantante, è quello di infilarsi con l’autonomia differenziata in queste dinamiche cercando un migliore posizionamento gestionale e finanziario che, favorendo le proprie popolazioni locali, generi ulteriore consenso. Una logica miope e classista che spacca il paese in due e all’interno stesso delle regioni del centro e del nord tra fasce popolari e benestanti.

Ma di tutto questo ovviamente non se ne parla nella campagna elettorale delle regionali emiliano-romagnole. I due contendenti principali la buttano in caciara con gli strilli per un ennesimo fascismo alle porte (lo è sin dai tempi di Berlusconi) da una parte, mettendo in campo sardine e pesci boccaloni dalle varie motivazioni, spesso semplicemente clientelari, e dall’altra la manfrina di maggior sicurezza contro i migranti, le falsità sulle vantate riduzioni di tasse, con tutta l’ignoranza di una Borgonzoni che crede che la nostra regione confini col Trentino. Chiedere ai veronesi.

In realtà entrambi gli schieramenti marciano spediti verso questa futura macelleria sociale, maggiormente garantita dall’introduzione del MES (meccanismo europeo di stabilità) che renderà ancora più vicolante la politica di massacro neoliberista dei diritti, dei servizi, delle condizioni salariali e di lavoro, le operazioni di privatizzazione e distruzione dello stato sociale. Entrambi hanno bisogno di più polizia e più controllo sociale per imporre queste politiche bipartisan, per gentrificare il territorio e metterlo a profitto dove conviene, mutando la geografia economica delle città a favore delle vetrine del consumo e delle speculazioni immobiliari ed edilizie, stroncando ogni esperienza o tentativo di autogestione sociale del territorio ed espellendo di fatto il proletariame dai centri storici e relegandolo nelle periferie, concedendo ai gruppi voraci del capitale e alle cordate degli amici delle belle grandi e piccole opere di cementificazione che fanno tanto cassa, tra bretelle, rotonde, passanti, varianti e contro-varianti, cattedrali nel deserto come FICO a Bologna, così “importante” da riservargli una ristrutturazione ferroviaria metropolitana solo per lui.

Entrambi gli schieramenti sono le orride facce di una medesima medaglia. La stessa che dall’Emilia-Romagna alla Calabria, dall’Umbria alla Sicilia sta portando il paese a essere un batustan dei paesi ricchi del Nord Europa delle sue borghesie finanziarie. E che negli anni a venire polarizzerà ulteriormente le differenze sociali in ogni ambito, ma con meno lavoro ancora.

L’unico modo per fermarli è smascherare il loro teatrino dei pupi, che è solo lotta tra gruppi di potere locale e nazionale, borghesie con le loro cordate clientelari. Il vero antifascismo si fa nelle lotte che chiariscono bene che la società autoritaria, che sia populista e nazionalista, o globalista, è sempre ferreo neoliberismo continentale da Le Pen e Orban alla Merkel e Macron, da Salvini a Renzi e Zingaretti. Lo si fa dando fiducia nel voto a quelle forze che devono crescere e che possono farlo passo dopo passo solo appoggiandole. Solo tornando a una partecipazione popolare e conflittuale contro il capitalismo e le sue barbarie, solo costruendo organizzazione dal basso, è possibile far farepassi avanti a una politica di reale cambiamento.

Votare Potere al Popolo e Marta Collot presidente, significa in Emilia Romagna rafforzare quella componente politica che ha posto con chiarezza, a partire dalle lotte per la casa e dei lavoratori in numerose vertenze, l’opposizione a questo scempio neoliberale, che ha messo al centro bisogni, servizi per i cittadini a partire da quelli meno abbienti e non il contrario come fanno una Borgonzoni pupazza di un Salvini e un Bonaccini che conclude la sua campagna elettorale con un una cena da mille euro a persona da Bottura a Modena. Il che la dice lunga.

Il renziano Bonaccini in particolare ha raccolto attorno a sé faccendieri d’ogni risma, come quel Cazzola ex berlusconiano che vuol fare un monumento alla Fornero per la grande porcata della legge sulle pensioni, o come quel Fagioli che ha licenziato centinaia di lavoratori sull’unghia con un sms. E l’arma di distrazione di massa della Sardine serve proprio a distrarre dalla vera natura di questa compagine.

Il 26 gennaio votiamo Potere al Popolo e Marta Collot presidente: il riscatto di una sinistra popolare di lotta riparte da qua, dalla nostra regione. Potere al Popolo sin’ora non ha avuto battute d’arresto ma una crescita costante sia nelle situazioni di conflitto sociale che una crescita di attivisti che lavorano generosamente ogni giorno e ai quali va tutta la mia gratitudine.

¡Hasta la victoria siempre!