Ciò che la pandemia da Covid-19 ha fatto emergere con tutte le sue implicazioni economiche e sociali, con tutti i limiti di un sistema sanitario devastato da tagli e privatizzazioni, è l’obsolescenza e l’inadeguatezza di un modello economico-sociale spacciato come il migliore in tutti questi decenni: il neoliberismo.
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Riflessioni sulle due varianti sistemiche del capitalismo
Il coronavirus sembra essere figlio dei tempi in cui il mondo si ritorce su sé stesso, tra sovranismi e chiusure di frontiere, dazi, interruzioni di flussi di persone forza-lavoro, merci, risorse. In realtà la tendenza espansiva del capitalismo ha trovato nella caduta tendenziale del saggio di profitto, dunque nella crisi di valorizzazione, che è sovraproduzione di capitali e di merci (non ultima l’eccedenza produttiva per eccellenza: il lavoro vivo, la forza-lavoro), il suo limite, in una sommatoria di risposte soggettive che mettono in crisi anche la globalizzazione. Ossia, la necessità vitale per il capitale di riempire ogni angolo della terra mettendolo a profitto, in quella competizione selvaggia che contrassegna la crisi strutturale e sistemica del capitalismo, uscito da circa trent’anni dal bipolarismo con il sistema socialista.
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