L’imposizione del green pass per poter lavorare a scuola, pena la sospensione dal lavoro, annunciata dal ministro della pubblica istruzione Bianchi, è la conferma di quanto ho iniziato a sostenere alla fine di luglio.
Il green pass non è un dispositivo che tutela la salute, non è garanzia di non contagio da covid-19, ma è un espediente ricattatorio messo in atto dal governo per imporre le vaccinazioni alla popolazione senza pagar dazio, ossia senza rendere obbligatorie le vaccinazioni e quindi per non rispondere in sede penale e civile in caso di eventi avversi. È un modo per bypassare la Costituzione che tutela il diritto alla cura e a scegliere da parte dei cittadini.
Nei miei interventi avevo subito rilevato i problemi che sarebbero incorsi sul lavoro, sul diritto al lavoro, avendo esaminato altre esperienze come quella francese, in cui le sinistre hanno avviato una forte opposizione all’equivalente d’Oltralpe del green pass.
Ora cominciano a essere tante le voci che si levano contro il green pass, da Magistratura Democratica a, persino, i Carabinieri di UNARMA. Ma al di là delle contraddizioni tra associazioni interne agli apparati dello Stato, quello che più mi interessa è lo stato dell’arte dentro la sinistra d’opposizione e di classe.
Prese di posizione in merito e contrarie al green pass sono venute da sindacati di base, realtà politiche giovanili, dall’Assemlea Antifascista bolognese riunitasi al Berneri il 9 agosto scorso, da voci dentro la sinistra antagonista come Wuming, noi di Carmilla. Ma per alcuni la questione è limitata al diritto al lavoro, senza comprendere che il green pass se oggi è il modo per scaricare sui lavoratori l’assenza dello Stato nella scuola pubblica (classi pollaio, mancanza di investimenti in assunzioni, in dispositivi e strutture interne agli edifici per la tutela della salute nell’attività in presenza, tamponi gratuiti, ecc.), discriminando chi per libera scelta (che sulla carta esiste ancora) decide di non vaccinarsi, questa dinamica impositiva riguarda tutta la popolazione per un accesso a una normale vita sociale.
Dunque il problema sta a monte e riguarda la progressiva fascistizzazione del sistema capitalistico, un autoritarismo fatto di regole, imposizioni e repressione, che svuotano completamente la democrazia borghese per come l’abbiamo avuta dal dopoguerra in poi. A questo dovrebbero guardare le compagne e i compagni, le strutture organizzate, al di là delle scelte di ognuno sulla propria salute e di quella altrui.
Ritengo a tal proposito che se vivessimo in una società regolata da uno Stato che mettesse al primo posto la salute pubblica, per tale salute collettiva sarebbero più che giusti anche i metodi impositivi da socialismo da caserma. Ma nel nostro caso, l’emergenza virus non giustifica certo tutto quello che hanno fatto o non hanno fatto ben due governi bipartisan, uno più reazionario e al servizio dei potentati finanziari e multinazionali dell’altro.
Pertanto la totale mancanza di critica sul versante della gestione della pandemia, che vada oltre le sacrosante rivendicazioni sulla sanità pubblica e di territorio, le assunzioni, i trasporti e via dicendo, rappresenta un vulnus per la sinistra rivoluzionaria e di classe, poiché rivela l’incomprensione su quanto sta accadendo in Italia e nel mondo da oltre un anno e mezzo, sull’acellerata autoritaria per mezzo della pandemia.
I dati ufficiali vengono presi per buoni e ripetuti come un mantra per screditare chi invece dentro la sinistra rivoluzionaria stessa si pone dei dubbi, vuole capire, o magari ha già posizioni critiche.
Nei miei interventi non sono mai entrato nel merito della questione vaccini, perché ritengo che non sia questo il punto. Il punto è che non si è saputo individuare l’autoritarismo che avanza nella pletora di dpcm, di misure talvolta opportune, necessarie e urgenti, ma il più delle volte completamente demenziali sul piano della salute pubblica e della prevenzione, con contraddizioni grandi come una cattedrale. Guarda caso, quest’ultime, tutte di stampo repressivo e appoggiate dall’artiglieria colpevolizzante dei media sui cittadini, su determinate categorie sociali, ma guarda caso mai degli imprenditori.
La colpa è dei cittadini, la responsabiltà, ossia il consenso firmato dei cittadini assolve lo Stato e le case farmaceutiche da qualsiasi implicazione penale e civile: ci pisciano in testa, ma anche molti nostri compagni ci dicono che piove!
Una tale situazione di marasma, di prese di posizione fideistiche verso l’operato sanitario e “scientifico” della schiera di esperti (ma mettiamoci pure anche i teleimbonitori…), non rischia solo di farci intervenire in ritardo e male sulle questioni assillanti a partire dal lavoro, ma rappresenta la pietra tombale, l’implosione, il collasso per la gran parte dei soggetti politici dell’antagonismo di classe.
Se si continua a classificare come “fascisti”, “vandeani”, “no vax”, quella parte di popolazione che in queste settimane sta scendendo in piazza in tutto il paese, del resto come in Francia, si perde un treno e si dimostra di non aver capito che il cuore di questa contraddizione non sono i vaccini, ma lo scontro tra un capitalismo finanziario e multinazionale di cui i governanti sono fedeli agenti e quella classi popolari che non lavorano più, che chiudono bottega , che vivono questo autoritarismo sulla loro pelle.
Vogliamo capire o no cosa sta dietro questa gestione capitalistica della pandemia? Certo, il virus c’è, ma Stato e padroni non lo stanno combattendo, lo stanno usando. Dietro c’è un’immane ristrutturazione della catena del valore e delle filiere ad esso collegate, c’è una concentrazione di capitale finalizzata a ridurre a mero franchising, alla totale subordinazione il piccolo capitale, quella borghesia che ha i suoi interessi nel territorio. Ovviamente il proletariato è già stato asfaltato da tempo da tutt’e due i capitalismi: il grande deterritorializzato e il piccolo, quello dei padroncini, esercenti, artigiani.
In Francia le sinistre hanno un passo in più delle nostre e hanno capito benissimo quale sia la posta in gioco. I comunisti devono entrare nelle contraddizioni e agire nei contesti storici, economici, sociali, culturali e politici dati.
Grazie, nessuno ci dà un movimento a nostra misura, non ci sono altri treni. E la rivoluzione non è un pranzo di gala dove puoi decidere le portate, mangi quello, quell’altro no. Ma noi siamo ancora alla prima fase: quella della comprensione…
Dove andremo a finire come sinistra rivoluzionaria? Lascio la risposta ai lettori.