In queste settimane di clausura forzata, neanche fossimo in galera, diviene opportuno, anzi indispensabile, avviare una riflessione sulla nostra società, sul grado di degenerazione del sistema in sè. Perché oggi (mi vien da dire finalmente) emerge in tutta la sua chiarezza l’impossibilità di far vivere la comunità umana come sin’ora ha fatto, con il mercato e il suo neoliberismo al centro del mondo, di ogni politica e di ogni logica privata e istituzionale.
Mi affido a una riflessione di un intellettuale comunista, Slavoj Žižek, che troviamo nel suo saggio Virus (Ed. Ponte alle Grazie, 2020), dal capitolo 9, che ha emblematicamente il titolo di Comunismo:
“A questo punto s’inserisce il mio comunismo, che non è un sogno fosco ma solo il nome di qualcosa che si è già avviato (o che perlomeno è avvertito da molti come una necessità), il nome per i provvedimenti che sono stati già presi in considerazione e in parte addirittura attuati. Quindi non si tratta di una visione di un futuro luminoso, piuttosto di un «comunismo dei disastri», un antidoto al capitalismo dei disastri. Non solo lo Stato dovrebbe assumere un ruolo molto più attivo – riorganizzare la produzione di beni di cui c’è urgente bisogno, come mascherine, kit per tamponi, respiratori, disporre la requisizione di alberghi e altri centri, provvedere alla sussistenza di chi ha perso il lavoro ecc. – ma in sostanza tutto questo andrebbe fatto in sprezzo dei meccanismi del mercato. Si pensi solo ai milioni di persone che almeno per un periodo resteranno senza un lavoro, senza un senso, come gli impiegati nel settore turistico – la loro vita non dovrebbe in nessun modo essere abbandonata ai meri meccanismi del mercato o agli incentivi una tantum. E non ci scordiamo che i rifugiati provano ancora a penetrare in Europa – ci rendiamo conto di quanto debbano essere disperati se questo spazio totalmente isolato a causa dell’epidemia ai loro occhi conserva ancora la sua attrattiva? Altri due aspetti emergono con chiarezza. Il sistema sanitario istituzionale dovrà fare assegnamento sull’aiuto delle comunità locali per la cura dei vecchi e dei deboli ecc. Per di più, all’estremo opposto, bisognerà organizzare una sorta di cooperazione internazionale efficace per la produzione e la condivisione delle risorse – se gli Stati si isolassero, scoppierebbero guerre. Ecco cosa chiamo «comunismo», e non vedo nessuna alternativa a questo tranne la barbarie. Fin dove si spingerà? Non saprei, so soltanto che dappertutto se ne avverte un bisogno urgente e che, come abbiamo visto, persino i politici come Boris Johnson (il 24 marzo ha nazionalizzato le ferrovie britanniche ndr), e certamente non parliamo di comunisti, lo hanno persino messo in pratica. Le linee di confine che ci separano dalla barbarie si profilano sempre più nettamente. Uno dei segni di civiltà, oggi, è percepire come totalmente folle e insensata qualunque guerra ancora in atto, o qualunque intolleranza verso le minoranze sessuali o verso altre razze e culture – auguriamoci d’imparare almeno questo dalla crisi che attraversiamo. È anche per questo motivo che, sebbene siano necessarie misure belliche, trovo discutibile che si ricorra alla parola «guerra» per indicare la lotta contro il virus: il virus non è un nemico che ordisca piani e strategie per distruggerci, è solo uno stupido sistema auto-replicante. Questo sfugge a quanti deplorano la nostra ossessione per la sopravvivenza.”
Sono parole di buon senso, che non denotano una provenienza analitica tipica del marxismo. A queste si può collegare l’analisi del modo di produzione capitalistico del suo profondo livello di crisi generale, strutturale, esteso a tutto il globo, a tutta la rete di relazioni sociali che avvolgono la semiosfera.
Ma è il buon senso oggi l’arma più potente per spingere sul piano sociale e politico a quel cambio di paradigma economico e sociale urgente e non più rinviabile. Le forze che contrastano quello che deve divenire forza materiale e sociale del cambiamento, egemonia nella società, per riprendere Gramsci, sono potenti e faranno di tutto per conservare lo status quo. E fuori dal tunnel della pandemia si profila la madre di tutte le battaglie, l’atto finale di una guerra asimmetrica e sociale che ha caratterizzato una lotta di classe a senso unico, dall’alto verso il basso, la cui direzione oggi può essere ribaltata.
Buon senso è destinare risorse pubbliche e private alla ricostruzione di un welfare pubblico, di uno stato sociale a partire proprio dalla sanità. Buon senso è andare a prendere liquidità dai grandi patrimoni, oltre l'”egualitarismo” imbecille di un Santori davanti alle tasse (sostiene un èatrimoniale dell’1% per tutti… la vada achiedere al senza fissa dimora o all’operaia in cassa integrazione, cretino!), per non voler fare un torto ai ricchi, per voler essere rappresentante degli interessi di tutti, che storicamente sono gli interessi di pochi spacciati per universali e per giustizia. Buon senso è mettere al centro nelle decisioni di politica economica lo Stato secondo i dettami della nostra stessa Costituzione: al centro i diritti e i bisogni e i profitti, la proprietà non possono prescindere da questo. Buon senso dunque è nazionalizzare, ripristinare meccanismi su titoli e moneta, in cui lo Stato e solo lo Stato è prestatore d’ultima istanza. In una sola parola: pianificare. Lo stato con la sua politica che governa e pianifica e nn il contrario in un’antonimia tra pubblico e privato completamente azzerata nel primo termine della coppia di oposti, o ridotto ad apparato che sorveglia e punisce per conto del secondo.
Poi si tratta di definire anche quale Stato, che meccanismi di democrazia partecipativa. Ma già queste inversione di tendenza verso il ruolo centrale delle istituzioni è Comunismo, avvia un processo che “abolisce lo stato di cose presente”, ossia il paradigma neoliberale del capitalismo. Una transizione, ma pur sempre una necessità e un’opportunità storica di cambiamento.
Queste sono le coordinate di una politica rivoluzionaria, comunista, comprensibili a tutti. Si può tornare a parlare di socialismo senza essere tacciati di essere utopisti sognatori o vetusti esegeti di un’esperienza morta nel Novecento. Lo si può fare a partire da esempi concreti: quelli delle società basate sulla pianificazione, più o meno socialiste, forse meno ma a capitalismo di stato dominante come la Cina, o più come Cuba. Paesi che hanno affrontato con successo la pandemia grazie alla forza dello Stato e alla capacità di pianificare velocemente le misure da adottare. E nulla è cambiato poi negli assetti sociali e politici, mentre qui stiamo a parlare (vedi Agamben) del rischio di una permanenza nel tempo dello stato di emergenza e di riduzione delle libertà individuali. Paesi che hanno anche le forze per venire ad aiutare noi, il cui aiuto non è mera propaganda o men che meno invio di spie come millanta il bugiardone padronale di FCA: La Stampa. L’aiuto fa parte dell’imprintig politico e di sistema di queste entotà statuali e sociali: la cooperazione tra paesi, tra popoli nel comune interesse generale di comunità mondiale. Anche questo è buon senso, è Comunismo.
Questa volta gli ingredienti per ribaltare il senso della lotta di classe ci sono tutti. E le rami ideologiche e politiche dei bugiardoni antocomunisti di regime? Al contrario, sono queste che appartengono alle anticaglie anacronistiche della storia.