Lo ha fatto in silenzio, con discrezione, con quella schiva umiltà che solo un’aquila che volta alto, maestosa senza ostentarlo può avere nella vita.
Ci ha lasciato e ha lasciato a tutte e tutti noi un enorme vuoto. Non solo nella letteratura di genere, di cui è stato protagonista, strappandola alle narrazioni banali ed enfatiche di una certa cultura stereotipata tipica della destra con le sue mitologie, per creare un immaginario di critica sociale dell’esistente, ma anche e soprattutto un vuoto nella lotta di classe.
Valerio è stato da sempre un punto di riferimento per tante e tanti compagni, con le sue analisi acute, puntuali, che non risparmiavano nulla e nessuno. E anche nella vita diceva quello che pensava, senza mediazioni. Sapeva essere molto diplomatico e dirti le cose con garbo, ma la sua fermezza nelle decisioni era di acciaio temprato.
Lo ricordo ai tempi del Kamo, in pieno reaganismo, quando ci proiettava film in vhs intrisi di patriottismo USA come Rambo e Alba Rossa, per poi commentarli spietatamente e smontare quella narrazione già allora fascista e bellicista con impareggiabile maestria. Certo che in Alba rossa, l’invasione cubana degli USA, era un invito a mettere il dito nella piaga propagandistica dell’imbecillità inattendibile.
E Valerio, con il suo indice lungo e affusolato, sapeva farlo molto bene. Ha sempre indicato bene gli sporchi giochi dei propagandisti del capitale, della guerra, i millantatori, le tante ingiustizie classiste ai danni del proletariato.
L’anno scorso Sante, quest’anno Valerio. E’ troppo.