Quelle misere certezze che ci eravamo costruiti, un po’ come chi abituato a vivere in un orinatoio non sente più la puzza di piscio, e a cui eravamo abituati se ne stanno andando a culo. Il virus ha fatto irruzione nel nostro mondo globalizzato ma piccolo, fatto di ipermercati, file alle poste, mutui, bancomat, smartphone, gite fuori porta, pizza, come un elefante in un negozio di porcellane.
I decenni consumistici che hanno seguito le due guerre mondiali ci hanno narcotizzato. Eppure gli scempi bellici, i campi di sterminio, la spagnola che mietevano milioni di vittime sono di poco tempo fa, se ragioniamo con il metro temporale della storia. Non risalgono ad Hammurabi. E neppure alla guerra dei cent’anni. Le nostre belle cittadelle del benessere, isolate dai milioni di morti per fame, di guerre create dai nostri governi “democratici”, dalle carestie, dalle predazioni immani, hanno vissuto nell’illusione.
Ora tocca a noi.
Il nostro mondo cade a pezzi. Il Covid-19 ha prodotto la svolta, ha messo a nudo l’estrema fragilità sistemica di una società che ha saputo usare lo sviluppo tecnologico solo per il profitto, alienando centinaia di milioni di persone da un istinto di specie, dalla solidarietà come collante sociale ma anche come elemento fondamentale per la sopravvivenza del genere umano.
Il neoliberismo voleva essere, per dirla alla Fukuyama, la fine della storia, quindi l’eternalizzazione del capitalismo, del darwinismo predatorio, ha finito per essere il capolinea del suo stesso sistema.
E così iniziamo a scoprire che c’era del buono persino nella degenerazione di un’esperienza nata da una rivoluzione popolare, operaia e contadina, l’Ottobre Sovietico che aveva coperto la metà del pianeta con un modello economico-sociale collettivista, con burocrazie élitare, differenze sociali, limitazioni della libertà finché si vuole, ma con un senso del bene comune, dello stato in grado di reagire alle problematiche sociali e progredire.
Quello che resta oggi di quell’esperienza, nel bene come nel male, si chiama Cina. Sta uscendo dall’epidemia certamente grazie ai farmaci, grazie al sostegno dei medici cubani, ben famosi per le capacità e lo spirito di condivisione. Ma soprattutto grazie a qualcosa che noi non abbiamo più: lo stato al centro del sistema paese, il punto di vista della collettività sui sordi e cinici interessi privati. Non mi piace la Cina, sono maoista da sempre e ce lo su con la cricca di Deng Xiao Ping e i suoi nipotini, ma questo è un altro discorso. Però è ammirevole vedere come ha risposto all’emergenza. Ospedali tirati su in dieci giorni, un’organizzazione duttie, capace di adeguarsi velocemente alla situazione, apparati, attrezzature, una disciplina, quella vera, vitale, solidaristica. Non quella arrogante e puramente militarista e totalitaria dei fascisti.
Ma veniamo a noi.
In tutti questi anni, destre e pseudo-sinistre, mentre da una parte elargivano soldi e appalti ai privati, intaccando seriamente il welfare pubblico, dall’altra stroncavano ogni esperienza di autogestione collettiva di spazi e attività con sgomberi e leggi ad hoc come la Lupi.
Ma oggi vediamo come in un’emergenza simile data dal Covid-19, la sanità pubblica sia al collasso e, nonostante l’opera direi eroica del personale sanitario, quasi del tutto inadeguata a far fronte a un’epidemia che se dovesse espandersi sarebbe pertanto un’ecatombe.
Oggi vediamo anche come sia necessario intraprendere quella strada che centri sociali, spazi autogestiti, fabbriche recuperate e le mille forme di associazionismo autonomo e non addomesticato e clientelare, hanno indicato in questi anni.
Ne possiamo uscire solo con una concezione diversa dello Stato, improntato non ai profitti privati, ma alle necessità e ai diritti della popolazione, e ne possiamo uscire solo con la diffusione della solidarietà sociale, della cooperazione vera, dell’autogestione, del mutualismo.
Un vero mutamento di sistema, direi antropologico, oltre che politico ed economico-sociale. Andrebbe approfondita l’ontologia dell’essere sociale di György Lukács e il suo saggetto piuttosto eloquente L’uomo e la democrazia.
Sono due aspetti che devono andare di pari passo. La lotta per evitare la barbarie sotto tanti punti vista è proprio questa. Questo dovrebbe fare una sinistra degna di questo nome. Dei bambocci che agitano temi sociali portando acqua al mulino dei soliti privatizzatori e poi si beccano il posticino in regione ci siamo rotti le tasche.
Tante cose stanno cambiando, nella crisi generale di sistema, evidenziata anche e ancor di più dall’emergenza virus. Se ne esce con solidarietà, protagonismo popolare, riprendendoci il territorio, gli spazi, lottando.
Quello che una vera sinistra dovrebbe fare.