La batosta. Ma per chi?

La batosta. Ma per chi?

Elezioni regionali dell’Emilia-Romagna: vince Bonaccini. Anzi, stravince con un gran 51%, il Movimento Cinque Stelle sparisce confermando quel che il topo Di Maio sapeva già da giorni dai sondaggi mentre stava abbandonando la nave (ma non il ministero), Potere al Popolo e le altre liste della sinistra radicale, non collegate a Bonaccini, si beccano percentuali da prefisso telefonico.

L’operazione sardine, incubata nelle stanze dei think tank prodiani, si è rivelata un case history di marketing sociale che sicuramente molti corsi di laurea in scienze delle comunicazioni studieranno negli anni a venire. Ovviamente non è stata solo e tanto la pletora di mobilitazioni velate o esplicite per Bonaccini al canto di “bella ciao”, a determinare la vittoria del satrapo renziano al servizio di comitati d’affari ed euroburocrati.

Vediamo di analizzarne le ragioni che si potevano capire anche prima.

Innanzi tutto i gonzi. Ossia tutti coloro che hanno visto nel “pericolo Lega” un motivo per votare direttamente o disgiunto per un vero (ma in realtà falso) antifascista, seguendo la retorica elettorale a cui il PD e i suoi cespugli ci hanno abituato sin dal primo Berlusconi: un ritorno del fascismo sempre millantato, ma guarda caso le leggi più reperessive e antipopolari le hanno fatte i governi di centrosinistra. Qui tanto ha potuto la macchina da guerra prodiana delle sardine, accomunando tutti, persino comunisti convinti e fino a ieri anche ipercritici della politica di macelleria sociale del PD. L’unico dato positivo è che in tanta fuffa elettorale esisteancora un rigurgito antifascista che viene usato sapientemente dai tecnici della comunicazione PD.

Poi ci sono gli interessati. Non dimentichiamoci che il PD sin dai tempi del PCI ha esteso nella regione una vasta ramificazione di clientele, dal funzionariato fino al precariato speranzoso, passato per appalti e subappalti che una vittoria della Lega avrebbe mandato in frantumi. Non dobbiamo infatti pensare ai carrozzoni delle pubbliche amministrazioni e dei poteri locali come degli agglomerati di interessi classisti. Nel mazzo ci stanno anche tanti che si accontentano di poco, un po’ stile: vivere in un orinatoio ma non sentire più puzzo di urina.

Ovviamente gonzi e interessati si intrecciano, alimentando sia pragmatismo che ideologia. La Borgonzoni, candidata alla presidenza della regione per altro inaffrontabile e che si è eclissata nelle ultime settimane, non poteva competere con questo zoccolo duro. E neppure Salvini con le sue citofonate. Il voto è stato non di pancia ma di cultura e appartenenze che non possono essere scalfite da un lanzichenecco idiota.

Detto questo, veniamo però alle nostre sinistre. Perché non è possibile dare sempre la colpa all’esterno dei fallimenti. O vedere il lato buono (che c’è sempre) delle esperienze politiche (in questo caso elettorali) oscurando tutto il resto. Le autocritiche bisogna farle, se si vuole crescere. E ora che le elezioni si sono concluse, si può iniziare a vedere cosa non ha funzionato.

 

Tre liste?

A queste regionali si sono presentate ben tre liste della sinistra radicale e di classe: Potere al Popolo, l’Altra Emilia Romagna con Rifondazione insieme al PCI di Alboresi e infine il Partito Comunista di Rizzo, che per altro ha ottenuto più voti delle altre due. Magra consolazione, visto che lo scarto è uno 0,1%: 0,4 anziché 0,3. Ma poco importa. Ora, il ragionamento è molto semplice: per un cittadino comune, un lavoratore, anche di sinistra se vogliamo, il fatto che tre realtà politiche, tutte e tre per altro comuniste, corrano ognuna per conto suo è una cosa incomprensibile, ma anche demenziale. Ciò fa perdere di credibilità politica tutte e tre le liste. Quindi anche il ragionamento della somma dei voti è sbagliato: un’unione avrebbe probabilmente aumentato i voti. Ecco perché ci hanno votato sostanzialmente i nostri aficionados, che sono già convinti e che conosco le differenze politiche tra l’una  e l’altra formazione. Ma non raccontiamoci palle: la crisi nella sinistra di classe prosegue, la sua frammentazione continua e nessuna forza rappresenta veramente il nuovo. E lo dico pur essendo e continuando ad essere di Potere al Popolo. Cosa si sarebbe dovuto fare?

Lasciamo perdere Rizzo, che segue logiche tutte sue, ai limiti del rossobrunismo. Prendiamo PaP e l’Altra E-R: chiudersi in capannone per un mese con dei guantoni da pugliato, darsele di santa ragione, ma alla fine uscire con una lista e dei candidati. Punto. Questo si fa. A meno che non vogliamo prenderci in giro e non vedere che le elezioni, certo, sono un ambito della lotta politica e neppure il principale, ma che ottenere un esito infimo non è affatto una crescita. Crescono i compagni, il gruppone di lavoro politico, ma pur restando autoreferenziali e incomprensibili alla gran parte della popolazione. Ed è un problema che non viene risolto sventolando il santino delle lotte sociali. Un po’ come la volpe e l’uva: che ci interessa di come vanno le elezioni? A meno che uno non adotti altre forme di lotta politica che esprimano (come la lotta armata) la candidatura d’avanguardia nei confronti della classe, il terreno elettorale è comunque lo si voglia o meno una cartina di tornasole importante per capire l’influenza politica che abbiamo ottenuto in generale e nelle realtà sociali specifiche. Se non iniziamo a fare una disamina seria di cosa non ha funzionato… ci stiamo prendendo in giro.

 

Il programma e il contesto in cui siamo

Abbiamo avuto dei poteri forti, dai media alle associazioni di categoria, che ci hanno remato contro, oscurato, tutto quello che si vuole. Ma sarebbe ora di capire:

A. come si fa vivere un programma politico comunista nella società, legando il particolare al generale, partendo dai bisogni reali di una data popolazione

B. come si fa a veicolarlo, ma soprattutto ad attivare sempre di più “i nostri” sui nostri contenuti

Non è questa la sede per esaminare aspetti che sono invece pertinenti a un confronto collettivo. Certamente però non sarà possibile cavarsela dando la colpa all’esterno.

Altro aspetto è il voto disgiunto. E’ un dato di fatto che molti dei pochi che ci hanno votato hanno scelto il voto disgiunto. Per le stesse ragioni adotte prima, sui gonzi e i disinteressati. Ma questo è un dato di fatto di cui dobbiamo tenere conto. A ciò si aggiunge che con una simile percentuale di voti, con che faccia andrò a chiedere il voto a questi soggetti? Non ci aiuta l’ideologia ed è un problema di credibilità politica.

Insomma compagni, nell’Emilia-Romagna la maggior parte dei cittadini non sono senza casa, non occupano centri sociali e vivono il precariato senza consapevolezza e confidando nel sistema costruito dai Poletti di turno. Siamo sicuri che la questione del programma non debba partire da una seria inchiesta popolare, appunto, sulla popolazione? Il fatto di estendere lo sguardo e la presenza verso altri settori sociali non significa abbandonare le lotte per l’abitare, il sindacalismo di base, le mobilitazioni studentesche, i terreni che ci sono congeniali che però sono ambiti specifici di una composizione sociale molto più vasta e, ahimé, frammentata nella metropoli.

 

La comunicazione

Io penso che questo sia il passaggio successivo. Ma per far questo occorre capire che la comunicazione è l’asse portante di un agire politico comunista, non un di cui. I giornaletti che siano cartacei o in rete lasciano il tempo che trovano. Non anticipo nulla di quello che troverete su Carmillaonline mercoledì 29, ossia dopodomani. Personalmente il tema della comunicazione lo sto sostenendo da tempo senza alcun feedback, senza alcun avvio di un confronto, senza alcuna esigenza di cambiare il proprio tran tran. E’ per questo che in questi mesi le mie energie sono impegnate per riformulare una teoria politica dei mezzi di comunicazione da un punto di vista marxista rivoluzionario e di classe.