Sentivo su Rainews 24 che Confindustria dal Governo non vuole avere vincoli in materia di emergenza Covid-19, ma solo suggerimenti.
In pratica vuole che le aziende facciano quello che par loro, senza dover essere sanzionate in caso inottemperanza delle misure di sicurezza eccezionali di contrasto al coronavirus e dei presidi idonei.
Confindustria e Governo fanno fronte comune sul fatto che l’economia non si debba fermare. Ma mentre il governo circoscrive le attività a quelle che ritiene indispensabili per la sopravvivenza del paese, Confindustria ha una visione un po’ più “larga”. In mezzo ci sta la materia del contendere: la sicurezza dei lavoratori.
Confindustria anche in momento come questo dimostra il totale disprezzo per la salute dei lavoratori, che diventa disprezzo criminale nelle attuali circostanze, poiché difatto contribuisce alla diffusione del virus. Se le aziende possono o non vogliono seguire le direttive, come vorrebbe Confindustria, le aziende stesse avrebbero ancora più potere decisionale in base ognuna ai suoi interessi specifici, quando in ballo ci sono interessi ben superiori: la salute ditutti i cittadini e l’uscita più rapida possibile da questa situazione.
Questa volta anteporre gli interessi particolari a quello generale spacciandoli per generale, oltre che criminale è demenziale. Non si può lasciar fare all’anarchia capitalistica del mercato. Ormai lo capisce pure un bambino che prima si esce da questa situazione e prima riprendono le relazioni sociali e le attività. Quindi fermare tutto, a parte i settori che danno alimentazione, energia e cura alla popolazione, ma con dispositivi e norme di sicurezza garantiti e rigorosissimi a tutela dei lavoratori e di contrasto al contagio, è l’unica soluzione. E non può essere delegata al puro arbitrio delle aziende.
Inoltre c’è un altro aspetto che si unisce ai decenni di tagli alla sanità. Ed è la totale privazione del potere decisionale dei lavoratori all’interno dei posti di lavoro.
Le fermate e gli scioperi nelle aziende di tutta Italia non vanno lette semplicemente come azioni spontanee di auto-tutela, bensì come necessità di riportare la classe operaia e i lavoratori tutti delle diverse categorie al protagonismo vertenziale e sindacale, dopo decenni di svendite sia livello nazionale che contrattuale categoria per categoria, operate dai sindacati “ufficiali” e concertativi CGIL, CISL e UIL. Per non parlare del vasto mondo del lavoro precario, che non ha neppure queste minime tutele e per la scomposizione nei cicli di produzione e circolazione non ha neppure la possibilità di fare corpo comune persino quando la questione diventa vitale.
Le fermate e gli scioperi dei lavoratori vanno viste come questione dirimente di potere nel mondo del lavoro e così come la questione del welfare pubblico andrà ripresa poiché ormai è stridente l’idiosincrasia tra privatizzazioni, tagli e necessità ordinarie e straordinarie della sanità, anche la questione del lavoro andrà affrontata sul piano del potere operaio e della classe lavoratrice tutta nel rapporto capitale/lavoro.
Ormai ci sono tutti gli elementi perché la società italiana tutta (e non credo solo nel nostro paese) comprenda che lo strapotere classista neoliberale dei capitalisti, dei grandi gruppi di interesse finanziario e multinazionale, così come le logiche di bottega dei piccoli imprenditori, non solo ci ha dato miseria e allargamento delle differenze sociali, devastazione ambientale e guerre di vario genere, ma anche in situazioni di emergenza sociale non funziona, anzi: diviene ostacolo alle soluzioni possibili.
Questo è il compito che troviamo davanti come comunisti, con molte più frecce al nostro arco.