Da almeno un paio d’anni varie organizzazioni comuniste orfane di piccoli padri hanno trovato una grande mamma. Non so se e come si siano fatti adottare, questo riguarda alla fine la loro coscienza, ma quel che è certo è che il sostegno alla Cina di Xi Jinping da parte di questa pletora di partitini non è una scelta tattica, visto che si prodigano a definire il sistema cinese come socialista. Che ci sia a fianco l’aggettivo “originale”, o la qualifica di “storicamente dato”, non cambia la sostanza di un’adesione ideologica che in realtà fa parecchio a cazzotti con la storia del movimento comunista e la sinistra rivoluzionaria italiana da 50 anni e passa a questa parte.
Si può dire che alla fine abbia vinto la Linea Nera e che il denghismo alla lunga abbia prevalso sulla teoria e prassi della contraddizione (1) e della dialettica di Mao Tse Tung, sdoganando la società armoniosa di confuciana origine. Armoniosa poi per modo di dire, visto che la Cina non è altro che un sistema capitalistico a guida di una classe burocratica di stato e di partito, che si fa fatica a definire persino “economia mista”, vista la forte integrazione a livello di finanza e multinazionali, filiere produttive e processi di delocalizzazione con il capitalismo internazionale, l’imperialismo tanto per intenderci.
Ma solo qui in Italia c’è una tale genuflessione, che porta dirigenti del movimento anticapitalista e di classe a sostenere il primato di Togliatti su Mao, con non poca e malcelata soddisfazione per la loro storia politica, che poco ha a che vedere con gli anni ’70. Quelli che hanno invece una storia diversa, se la sono evidentemente dimenticata.

Non voglio in questa sede entrare nel merito di questioni economiche e sociali complesse, mi limiterò piuttosto a una serie di considerazioni che già a prima vista rappresentano le incongruenze madornali di una parte non indifferente del movimento comunista italiano.
Mi raccontava un amico e compagno, che per lavoro spesso va in Cina, che a Shangai come in altre città c’è un tasso di smog spaventoso: il particolato si taglia con un coltello. Per non parlare delle autostrade, strade, rotonde, sopraelevate costruite a ridosso di palazzoni che quelli delle nostre periferie in confronto sono la Reggia di Caserta, un’urbanistica senza criteri di impatto ambientale e sulla vivibilità.
Altro che No Tav!
Ma qui non sappiamo o non vogliamo vedere nulla, e abbiamo i turisti pendolari della valle, che vanno a dar man forte ai No Tav, sostenendo la loro causa sacrosanta contro la speculazione delle mafie e della finanza e la distruzione e inquinamento del territorio, ma che dall’altra magnificano le sorti socialiste della Cina del terzo millennio. Demenziale.
E poi si provino a fare una manifestazione come quelle dei No Tav in Cina. Ma lo sanno che finirebbero tutti in galera senza se e senza ma? E il diritto di sciopero? parliamone.
Altro che sindacalismo conflittuale e di lotta!
Non che là vivaddio non vi siano lotte, ma il “glorioso” PCC è la controparte nelle vertenze operaie, non certo il partito della classe operaia. Già queste considerazioni molto basiche e senza addentrarsi in aspetti più articolati portano la storiella della “Cina socialista” a zoppicare e non poco.
E allora mi viene da chiedermi ma le lenti del materialismo storico che questi compagni hanno inforcato sono forse dei culi di bottiglia?
Postilla:
Leggo ora da Marx21 questo capolavoro di propaganda filocinese. Nemmeno nel periodo brezneviano, che ho ben conosciuto negli anni ’70, si era giunti a un simile servilismo politico, a una retorica più vicina al Minculpop che al realismo socialista stesso. Anzi, se ben ricordo erano poche le componenti del movimento rivoluzionario dell’epoca a vedere nel socialismo sovietico un modello da seguire. Credo nessuna.
“La Costituzione descrive la Cina come un Paese socialista governato da una dittatura democratica popolare guidata dalla classe operaia e basata su un’alleanza di operai e contadini. La natura fondamentale dello Stato è definita dalla dittatura democratica popolare”
A leggere questa definizione data dagli stessi “comunisti” cinesi c’è da gongolare! Bisognerebbe però chiederlo a quei milioni di operai migranti in condizioni di esistenza miserabile e ipersfruttati, se in Cina c’è la loro dittatura democratica. Bisognerebbe chiederlo a quelle componenti operaie in lotta per un sindacato indipendente e per migliori condizioni di lavoro e salariali, guarda caso molti maoisti, attaccati e picchiati, incarcerati, come nella lotta alla Jasic Technology nello Shenzen nel 2018, che ho trattato qui da un articolo della sociologa Pun Ngai.
Invece è piuttosto evidente che così non è e che come sostiene la sociologa di Hong Kong sopra menzionata:
Il lancio delle riforme economiche di Deng Xiao Ping e le politiche di apertura dei mercati del 1978 furono un evento storico senza precedenti, che ha cambiato non soltanto il percorso del socialismo in Cina, ma anche la strada del capitalismo globale. Lo stato cinese ha condotto il paese nel WTO, dimostrando così ulteriormente il proprio ruolo di guida nel processo di globalizzazione economica. Paradossalmente, però, questo processo avviato dallo stato è accompagnato da un processo di disimpegno dello stesso stato nei confronti della nuova classe operaia nelle aree industriali e urbane, nel senso che lo stato (a diversi livelli) è pressoché assente nel provvedere ai consumi collettivi come l’alloggio, l’istruzione, l’assistenza medica, e altre necessità di base per i lavoratori migranti, soprattutto per coloro che vivono nelle città e nelle metropoli. Una tale situazione è stata la causa di una traiettoria ben precisa di proletarizzazione dei lavoratori agricoli cinesi, che ora contribuisce a una crescita intensa delle lotte dei lavoratori migranti in Cina. (2)
Certo, da quanto scritto dalla Pun Ngai ci sono stati cambiamenti e la Cina oggi è andata ben oltre l’essere la fabbrica del mondo con le sue zone speciali, si è formato un vasto mercato interno e un’altrettanta vasta classe media. Ma se vogliamo glissare sui principi del socialismo scientifico, che si basano sulla contraddizione e non sull’armonia, la Cina di oggi rappresenta il peggio della traiettoria del socialismo novecentesco per tre punti essenziali:
A. il potere nelle mani di un partito che non rappresenta la classe operaia ma la camera di compensazione tra interessi privati di una borghesia capitalista cinese molto potente e di un capitale finanziario e dall’altra di una borghesia burocratica di stato (spesso corrotta) in posizione dominante rispetto ai privati, ma spregiudicata nel gestire il controllo sulla forza-lavoro salariata e subordinata e sul resto della popolazione.
B. L’integrazione finanziaria e tra filiere con il capitale multinazionale che, se da una parte è stata usata dai ceti dominanti cinesi a proprio vantaggio, dall’altra ha contribuito a sorreggere il capitale stesso nelle sue crisi economiche, nelle sue ristrutturazioni come le delocalizzazioni.
C. La totale assenza di un reale conflitto con il capitalismo. Oggi assistiamo anche a un’integrazione del manageriato cinese, delle università del dragone con quelle statunitensi e occidentali in generale. Marx viene meramente studiato come filosofo e le logiche economiche seguono le diverse teorie dal neoliberalismo allo stato piano keynesiano, che qualche anima bella spaccia per pianificazione socialista. Almeno la “coesistenza pacifica” kruscioviana non rinunciava a forme di sostegno alle lotte di liberazione antimperialiste nel terzo mondo, dall’Angola all’America Latina.
Per questo, sostenere il “socialismo” cinese significa approdare armi e bagagli al peggiore dei revisionismi, è abbandonare la vera essenza del socialismo che è potere operaio e popolare, socializzazione dei mezzi della riproduzione sociale, distruzione del sistema capitalista. Ogni idea di transizione (tattica) non può che basarsi su queste premesse strategiche di lotta, di metodo marxista che si fonda sulla contraddizione nella pratica e nella teoria comunista. Nella Cina di Deng così come in quella di Xi Jinping, non c’era e continua a non esserci nulla di tutto questo, sia sul piano ideologico-politico che su quello dell’economia e della gestione della società. E ancora una volta i comunisti, certi comunisti, non comprendono che il punto fondamentale nei rapporti di produzione capitalistici non è la proprietà privata, ma chi gestisce la produzione e riproduzione sociale: la dittatura della borghesia nella forma della democrazia borghese o di un totalitarismo fascista, chi ha il comando nei rapporti capitale/lavoro. Oppure la democrazia socialista ossia la dittatura democratica del proletariato e della masse popolari oppresse e sfruttate, ossia la democrazia consiliare della classe operaia che dirige la produzione e la società. Costoro non lo compresero con il socialismo sovietico e lo comprendono ancor meno oggi in un sistema, quello cinese, che si è già generosi e concessivi a definirlo di economia mista. Altro che socialismo!
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1. Due scritti fondamentali di Mao Tse Tung:
2. Pun Ngai, Cina la società armoniosa, Jaca Book, 2012