Lo sciopero della fame di Battisti e i soliti forcaioli

Lo sciopero della fame di Battisti e i soliti forcaioli

Nel carcere di Oristano, dove è detenuto, Cesare Battisti, ex appartenente ai PAC (Proletari Armati per il Comunismo) ha iniziato uno sciopero della fame. Perché? Certo non chiede caviale e champagne come millantano i vari media di regime, ma semplicemente per ragioni di salute: per  potersi cucinare riso in bianco per evitare i cibi troppo grassi e i fritti del carcere che per lui sono veleno. E per porre fine a un regime di isolamento di fatto illegale e arbitrario.

Infatti, secondo le sentenze l’isolamento sarebbe dovuto essere di sei mesi e quindi sarebbe dovuto finire già un anno e mezzo fa, ma continua ancora adesso in palese violazione delle stesse leggi dello Stato. Inoltre è evidente che l’attuale isolamento non riguarda più i fatti accaduti 40 anni fa, ma il Cesare Battisti di oggi, che per la cronaca e di fatto non è più comunista combattente appunto da quattro decenni e la “pericolosità” non esiste più.

E allora perché questo accanimento?

Perché basta che un parente delle vittime faccia un’esternazione che politici di governo mentecatti dispongano misure draconiane per pure ragioni di consenso e di immagine.

Perché lo Stato deve far pagare a Battisti la sua lunga latitanza, dimostrando con tutta l’inflessibilità possibile che prima o poi le maglie della “giustizia” raggiungono chiunque e nessuno può farlo fesso impunemente. E ovviamente attorno a questo perché c’è la storiella della “latitanza dorata”, come se fuggire e andare di paese in paese fosse un viaggio turistico di piacere e non una vita di ansie, fughe, carcerazioni, libertà provvisorie, controlli polizieschi, incertezze sul futuro.

Perché il carcere è un’aberrazione del diritto borghese stesso, dato che dovrebbe servire per riabilitare e non per punire. Ma la punizione è la dominante di tutto il sistema giudiziario, a cui si aggiunge l’altra aberrazione dell’emergenza permanente: dagli anni Settanta siamo sempre in emergenza per qualcosa: con un sistema che si regge proprio sull’emergenzialismo.

Questa logica della punizione è trasversale e bipartisan: riguarda le peggiori destre come le sinistre eredi di quel PCI che cercò in tutti modi di stroncare il grande ciclo di lotte degli anni ’70, facendo tra l’altro di tutta un’erba un fascio e andando ben oltre il lecito. Insieme alla delazione, ai questionari contro il “terrorismo”, e alle bastonate del servizio d’ordine sui compagni del Movimento dell’epoca, ci fu tutta la gestione della repressione e dell’attacco alle organizzazioni rivoluzionarie attraverso la tortura. Un pagina ignobile di questo Stato coperta dalla storiella che si sarebbero vinte le bierre con la legalità democratica, in cui il PCI ebbe parte attiva con i suoi dirigenti e con quei magistrati ad esso legati.

Oggi come ieri, i nipotini di Berlinguer, gli stessi che invocano l’ergastolo per i quattro bastardi che hanno pestato a morte Willy a Colleferro, o peggio: la pena di morte, sono gli stessi che augurano l’ergastolo ostativo a Battisti, l’isolamento perenne. Di sinistrati forcaioli poi ce ne sono di tanti tipi, versione Sardine, versione renziani, versione del salto sul carro degli Agnelli stile Radio Capital. Questi ultimi poi si distinguono per sostenere l’isolamento illegale a Battisti inventandosi ragioni legalitarie perché misura-adottata-dallo-stato-punto. O perché parenti delle vittime lo vogliono. Ma lo capiscono questi manettari che se fossimo negli Stati Uniti sarebbero completamente aderenti alla logica della presenza dei parenti davanti alla sedia elettrica? Ma non esiste più una sinistra legalitaria che si batta per lo stato di diritto, contro il carcere come strumento punitivo e contro l’ergastolo?

Dei sinistrati forcaioli ne facciamo volentieri a meno. Possono avere sul desktop la faccia di Mandela, di Stalin, di madre Teresa di Calcutta, di Soumahoro, ma tutta questa gente è dall’altra parte della barricata. Per i quattro parafascisti di Colleferro hanno conservato l’antica abitudine di invocare la giustizia borghese e non possono neanche lontanamente capire che tutta la questione è solo basata sulla necessità tutta politica di una bella bonifica antifa nei confronti di fascisti e razzisti di ogni risma. La giustizia proletaria non è la giustizia borghese perché si basa sulla liberazione di spazi e di agibilità nel territorio mettendo questa feccia nelle condizioni di non nuocere per far crescere la solidarietà sociale, l’organizzazione e la lotta. In una parola è questione di contropotere in cui lo Stato borghese non c’entra nulla.

E’ ora dunque di dire chiaro e forte che lo Stato fa il suo sporco mestiere di rappresentante della borghesia e condanna oltre la stessa condanna Cesare Battisti alla tortura dell’isolamento e all’annientamento fisico attraverso un vitto sbagliato e a condizioni cacerarie disumane. E lo fa perché Battisti è stato comunista rivoluzionario con le armi in pugno. E’ ora dunque di rivendicare la fine dell’emergenza perché quella guerra a bassa intensità è finita e i prigionieri devono tornare a casa: neppure i fascisti furono trattati così nel dopoguerra da un Togliatti che li amnistiò! E’ ora di affermare quella storia della lotta di classe nel nostro paese dimenticata, azzerata da una dittatura culturale senza repliche, sepolta nell’oblìo a favore di una gestione borghese della società, di un’interpretazione borghese delle stesse regole borghesi. Dunque chi è con lo Stato della barbarie non è con noi.