“Más temprano que tarde, de nuevo se abrirán las grandes alamedas por donde pase el hombre libre, para construir una sociedad mejor”
(Salvador Allende, 11 settembre 1973)
Mentre scrivo divampa la rivolta nelle strade delle città cilene. Il Cile non ha mai cambiato radicalmente la Costituzione inaugurata da Pinochet negli anni della dittatura fascista. Il Cile non ha mai smesso di adottare le ricette neoliberiste, di quel neoliberismo selvaggio dei “Chicago boys” di Milton Friedman, che con il golpe fascista trasformò questo paese in un laboratorio di questi economisti criminali USA per poi esportare il modello in tutte le aree geopolitiche di pertinenza del FMI e del blocco imperialista atlantico.
Oggi questo laboratorio è come una pentola a pressione chiusa e in ebollizione. Le ultime misure di Piñera, il presidente in quota alla destra filo-Pinochet, sono state solo il detonatore di una crisi sociale che il governo ha solo cercato di nascondere sotto il tappeto di dati economici che possono essere positivi solo per un ristretto numero di cileni privilegiati, gli sfruttatori. Ma le disparità sociali, la totale mancanza di uno stato sociale in tutti i sensi ci dicono che il neoliberismo puro ci porta alla guerra civile. E oggi serve a poco che Piñera ammetta di essere stato sordo alle richieste popolari e che abbia ritirato i provvedimenti di aumento dei prezzi dei trasporti e delle bollette di luce e gas, mentre dall’altra i suoi carabineros attaccano i manifestanti, gli sparano e uccidono, li catturano e li torturano e stuprano le studentesse arrestate, mentre fanno i primi desaparecidos con arresti arbitrari. In una sola frase: riporta il paese agli anni della dittatura di Pinochet. Ovviamente tutto questo nel silenzio complice o nelle versioni edulcorate dei media occidentali e degli organismi europei. Gli stessi media e gli stessi organismi che per altri contesti hanno orchestrato vere e proprie campagne filogolpiste come per il Venezuela bolivariano. Imparagonabili i livelli e le modalità di contrasto alle manifestazioni di questi due paese se li mettiamo a confronto, ma il peso e due misure dei servi della finanza globale è ormai fin troppo chiaro: descrive bene il loro concetto marcio di cosa sia per loro democrazia e cosa no.
Un intero paese si è risvegliato rimettendo al centro tutti valori politici, sociali e morali della grande esperienza socialista di Unidad Popular. E le parole di salvador Allende che dalle onde di radio Magallanes l’11 settembre 1973 trametteva negli ultimi istanti della sua vita nel palazzo presidenziale de la Moneda, risuonano profetiche. Ma vedere solo l’albero e non la foresta nella sua interezza come vorrebbe farci vedere il mainstream mediatico sarebbe fuorviante. Mettiamo insieme le Americhe, America Latina e Centro America: Haiti con una rivolta contro il bamboccio filo-yankee Moise che dura da mesi, Honduras vaste proteste sociali, Ecuador insurrezione popolare costringe il traditore Moreno a più miti consigli, Argentina avvento imminente del peronismo, Brasile proteste dall’Amazzonia alle metropoli, Uruguay mobilitazione oceanica contro una proposta di legge che dà forti poteri alla polizia, lo stesso Cile. Ma non solo: Catalunya, Libano, Francia dei Gilet Jaunes, ormai è chiaro che stiamo entrando in una nuova fase politica mondiale: quella della risposta popolare a un ventennio di attacco neoliberale ai popoli e alle classi sociali subalterne, di una vera propria guerra sociale asimmetrica che vede al centro il rapporto capitale/lavoro, profitti versus salari, rendite versus reddito, messa a profitto di ogni ambito della società versus stato sociale e diritti delle popolazioni. Una guerra pianificata e voluta da organismi mondiali economici e politici dei ceti borghesi al potere e portata avanti dai loro governi pseudo di sinistra come da quelli di destra per reggere la competizione mondiale, la parte apparente di cause più profonde: la caduta dei profitti a fronte di una crisi mondiale strutturale del capitalismo.
Questa svolta che definirei antagonista al neoliberismo non è simultanea e netta, ma comunque è il prodotto delle condizioni sociali di miseria e proletarizzazione che il capitalismo neoliberale impone in ogni paese dell’Occidente, Ma non solo. Le stesse contraddizioni le abbiamo anche nelle aree dei BRICS. Sicuramente incide la costante perdita di egemonia del dollaro nei vari quadranti del pianeta e la ridefinizione dei rapporti di forza globali tra blocco imperialista a dominanza USA (UE inclusa) da una parte e Russia e Cina dall’altra, tutte concause per esempio che impediscono agli USA di portare a buon esito gli attacchi politici e golpisti per riprendersi il Sud America e strapparlo ai processi rivoluzionari socialisti bolivariani, peronisti o comunque di sinistre non addomesticate e patriottiche.
Il Cile è stato il primo laboratorio di questa macelleria sociale che il management di regime definisce economia liberale, il Cile è la cartina di tornasole di queste prime avvisaglie di una fase globale di rivoluzioni popolari. E lo è perché le parole di Allende non sono state solo parole, ma il simbolo, la sintesi politica e morale di un’esperienza politica di democrazia sociale, Unidad Popular, che ancora oggi pur nella sua specificità è ancora attuale e non solo per il Cile. Qualcosa che ha resistito alla ferocia fascista della dittatura, qualcosa che ha aleggiato per tutto questo tempo nell’anima stessa del popolo cileno, come per l’Italia la Resistenza, al di là dei cambiamenti della società, della composizione sociale delle classi, dei costumi, delle mode, degli spettacoli di nani e ballerine, di un’intellettualità nel completo oblìo, della censura per affermare un’ideologia totalitaria delle merci e della competizione darwiniana. E’ un imprinting che in Cile è forte e oggi prorompe come un fiume in piena. E da oggi in Cile non sarà più come ieri. E Allende da dov’è, se la ride sotto i suoi baffi di uomo giusto, ironico, saggio.
Ma questa risata metastorica liberatoria di Salvador raggiunge anche noi: noi che abbiamo visto il Cile come una prova generale, un messaggio di Kissinger diretto al nostro paese, noi che però non abbiamo detto “va bene” come fece Berlinguer, ma abbiamo risposto con la rivolta dei nostri anni ’70, noi che siamo parte, quella sveglia, di una parte più vasta dell’Italia, certo narcotizzata da decenni di gnocco fritto e moderatismo che in realtà è estremismo liberista camuffato da mitologia dello Stato e dell’Europa (entrambi veri apparati di potere classista per conto dei “liberi mercati” e basta), ma che c’è, esiste al di là dei mutamenti della società. Una parte che si sta svegliando anch’essa.
Le destre come Berlusconi e Salvini, così come i neoliberisti puri di “sinistra”, ossia i dem, pensano che la lotta di classe sia qualcosa che appartiene al passato del paese e nella realtà la fanno loro come agenti delle classi dominanti contro le classi popolari. Credono che decenni di rimbecillimento televisivo, di deculturizzazione della società italiana, ciò che loro chiamano modernità o post-moderno, abbiano rimosso l’anima popolare nata dall’antifascismo e dalla Resistenza e votano porcate come la risoluzione che equipara nazismo e comunismo al parlamento Europeo. E si permettono di bocciare sempre al Parlamento Europeo il dibattito sugli attuali fatti cileni. Ma hanno fatto i conti senza l’oste.
Il tempo ora sta tornando nostro. Sappiamo farne tesoro.