Chi ha visto l’omonimo film di Joseph Wright con Gary Oldman nei panni di Churchill, avrà visto tutta la retorica liberal-democratica di cui gli eseget del mondo occidentale vanno tanto fieri. Tuttavia, se c’è qualcosa che oggi è entrato di prepotenza nela vita di tutti mettendo a nudo l’ipocrisia di un regime, quello del capitalismo neoliberale, ipocrisia come panacea e come modello economico-sociale sempiterno è il coronavirus che sta sconvolgendo l’intera comunità mondiale.
Ormai è piuttosto chiaro che questo sistema non funziona, che l’aver affidato il destino e la vita di milioni di persone da New Delhi a Parigi, da Chicago a Rio de Janeiro, in tutti questi decenni, dalla fine della seconda guerra mondiale passando per la caduta del Muro di Berlino è stata una follia che pagheremo a caro prezzo.
Le “meraviglie” del mercato, del laissez faire non alla sua anarchica quanto inesistente armonia, ma alla voracità insensata delle oligarchie finanziarie e multinazionali, ci stanno portando al disastro mondiale. Le privatizzazioni, i tagli, gli spezzatini dei beni e degli asset pubblici, le delocalizzazioni, i “capitani coraggiosi”, gli “esperti” d’ogni risma, il malversatori, le commistioni omertose e stragiste tra politica e mafia dei colletti bianchi, la totale mancanza di confini tra criminalità e comitati d’affari, le logiche criminali delle intelligence, le guerre spacciate per missioni umanitarie, il terrorismo armato e batteriologiche delle guerre ibride, le grandi speculazioni della finanza ombra, le agenzie di rating artiglieria della finanza stessa come i media embedded per i centri del potere bellico atlantista, tutto questo ci dice che siamo arrivati al capolinea in un’era totalmente priva di democrazia autentica. E questa è l’ipocrisia più gigantesca.
Il sistema cade a pezzi colpito da un virus e non dalle decine di rivolte sociali dal Cile all’Irak, da Haiti alla Francia, ma a queste darà certamente argomenti e forza per incidere ancora di più nel tessuto politico agonizzante di chi ormai può usare solo la forza e sempre meno il consenso. Le caratteristiche dello scontro sociale, della guerra asimmetrica che sin’ora è stata principalmente dall’alto contro il basso, modellerà la morfolgia del fascismo neoliberale alle porte, globalista o sovranista in ogni singolo paese. Già le misure d’emergenza, volenti o nolenti costituiscono un pericoloso precedenti. E l’emergenzialismo fa un grande salto di qualità.
Sì, non sarà più come prima. Ma come? O i popoli, le classi popolari quando usciranno dall’incubo si avvieranno verso una fase di tensioni sociali, resistenza popolare e rivolta. Oppure sarà il fascismo a dominare per restaurare un dominio classista a cui interessa solo la propria sopravvivenza al di là di ogni logica di prospettiva. La materia del contendere è semplice: o si mette al centro il pubblico, i beni comuni, i bisogni della popolazione, la solidarietà sociale, il collettivismo (e questa è già una rivoluzione sociale), o si continua a sostenere il punto di vista dei mercati e del profitto a tutti i costi.
Già in questi giorni vediamo gli atteggiamenti opposti: lavoratori che in tutto il paese si rivoltano perché nel nome dei profitti è messa in discussione la loro stessa vita e un padronato, la Confindustria che per questi è disposta a calpestare la sicurezza sul lavoro anche in condizioni di eccezionalità, insofferente persino ai blandi richiami del governo nei suoi confronti, invocando la facoltà di fare quello che le pare. Quello che sembra un conflitto tra spontaneità dal basso per la sopravvivenza e comando capitalista è un passaggio decisivo ed epocale del rapporto capitale/lavoro, dominanti/dominati che ci fa vedere all’orizzonte che una delle due strade percorribili nella terra del nulla sarà come prima è il potere operaio e popolare, la democrazia dal basso, l’autonomia popolare costituente di un nuovo ordine sociale davanti alla devastazione permanente e a picchi di barbarie imposti dai manovratori.
Ma al di là di tutto la Confindustria italiana è un manipolo di dilettanti, che può giusto bivaccare sulle macerie di un’Italia distrutta “grazie” proprio alla sua insensatezza. Per logica infatti sarebbe anche nell’interesse dei capitani imbecilli sospendere tutto a parte ciò che alimenta, cura e dà energia al paese, con i dovuti criteri di sicurezza, evitando così che il contagio dilaghi e non faccia più partire nulla per non si sa per quanto tempo. La devastazione definitiva.
Dilettanti allo sbaraglio inostri Boccia, in confronto al vero modello di capitalismo dalla cittadella-mondo in fiamme sta emergendo. Un modello incarnato da Boris Johnson e la sua “operazione gregge”, il prototipo del fascismo neoliberale darwiniano. Cos’ha detto il premier inglese? Un cosa molto chiara:”Molte famiglie perderanno i loro cari”. Che significa a farsi fottere la salute pubblica: il Regno Unito del neoliberismo tatcheriano non si ferma. E i costi li paghino tutti: questo attende i sudditi di sua maestà. Johnson si fa interprete di quella razza padrona britannica che dice: io preferisco che crepi tu piuttosto che rinuciare ai miei guadagni. Ma non c’è nulla di nuovo strutturalmente rispetto il capitalismo ottocentesco inglese così ben descritto e criticato da Marx ed Engels. Ci puoi aggiungere un 4.0, di fianco alle logiche dei cicli di produzione che tenevano in catene i bambini di 9 anni.
Oggi in catene ci sono intere società sacrificate al dio profitto. Johnson ha il pregio, per così dire, di rendere esplicito questo istinto selvaggio della borghesia per bene, tipicamente british. Una morfologia dello sfruttamento capitalista a tutti costi, guerre, epidemie, differenze sociali abissali, che istintivamente e per calcolo di piccolo respiro non può che riprodursi così. Non ci sono tante altre possibilità per il leviatano: il pragmatismo di Johnson farà strada.
Dovranno essere i popoli, le cittadinanze, le lavoratrici e i lavoratori d’ogni categoria e condizione a comprendere che è vitale e improcrastinabile sbarrare questa strada al nuovo nazismo depurato da scorie razziste, puro distillato di economia dominante su ogni biopolitica del sociale della stessa ontologia dell’essere sociale per dirla alla György Lukács, dove uomo e democrazia si incontrano agli albori di una nuova era. Siamo agli inizi di un’epoca in cui la rivoluzione sociale collettivista non è più una velleità da manualetto teorico-politico, l’esercizio liturgico delle solite conventicole ideologizzate, ma un’esigenza storica per tutto il genere umano.
La vera lotta inizia adesso. Anche contro le abitudini e le certezze dottrinarie di noi vecchi rivoluzionari.