Nascita di un’ideologia di guerra e vicolo cieco patriottista

Nascita di un’ideologia di guerra e vicolo cieco patriottista

La risoluzione approvata al Parlamento Europeo che equipara il comunismo al nazismo, e che ha visto l’approvazione bipartisan di un ampio arco di forze europeiste e sovraniste, è probabilmente il più ambizioso tentativo di accomunare al totalitarismo neoliberale sia le tradizionali realtà politiche di ispirazione socialdemocratica e cristiana, sia l’idem sentire fascista che sta pervadendo i paesi dell’est ex-sovietici, oggi nell’UE, come i paesi baltici, la Polonia e l’Ungheria.

Non mi soffermerò qui su cose già dette, come l’aberrazione di questa equiparazione che falsifica la storia del continente, nel ruolo decisivo che ebbero l’Armata Rossa sovietica e le forze partigiane comuniste nello sconfiggere il nazifascismo, tanto meno del tentativo di criminalizzare interi settori di opposizione politica nei vari paesi che nel loro essere variamente comuniste riaffermano valori di giustizia sociale e di messa in discussione di rapporti di potere che borghesie e imperialismo esercitano contro il proletariato e le classi popolari, tentativo che punta a porre le basi legali, costitutive istituzionali del capitale neoliberista di questo dominio su popoli e cittadinanze europei, spacciandolo per democrazia.

C’è un’altra questione molto importante da tenere presente e su cui intervenire sul piano politico e culturale. Ed è il lavoro che le forze del capitale e le euroburocrazie stanno portando avanti per formare in Europa un’ideologia di guerra, una sorta di meta-patriottismo in funzione militarista. Infatti, se si legge la risoluzione si evince chiaramente che l’attacco alle vestigia del comunismo ha come obiettivo non secondario la Russia di oggi, che pur non essendo più comunista, fonda sulla Sacra Guerra al nazismo, i suoi valori costitutivi di stato contemporaneo. Cementare i fascismi est europei oggi al governo in determinati paesi e comunque molto forti in questi paesi con le forze europeiste è la base per comporre un fronte ideologico dominante in Europa, che orienti le opinioni pubbliche verso il conflitto con la Russia, a cui puntano le élite imperialiste occidentali atlantiste e a dominanza USA. La funzione antirussa della risoluzione è piuttosto chiara e neppure si è cercato di celarla. La narrazione “anti-totalitaria” degli europeisti è ancora una volta una menzogna. Dopo aver massacrato la Grecia ed essere intervenute contro movimenti popolari che rivendicano migliori condizioni di vita e di lavoro, che difendono i propri territori di appartenenza, come i Gilet Jaunes e il Movimento No TAV e No TAP: una vera aggressione generale alle forze sociali interne all’UE, le forze europeiste ora puntano all’aggressione esterna. Il polo imperialista europeo a trazione franco-tedesca sta portando avanti una guerra preventiva interna alle classi popolari e alle loro organizzazioni e sta preparando una guerra esterna vera e propria secondo le linee strategiche degli esecutivi USA e UE del blocco atlantista.

Dunque, la formazione di un corredo ideologico comune è un obiettivo necessario, quamto ambizioso e forzoso, poiché le gerarchie UE comprendono benissimo che la frattura europeisti-sovranisti indebolisce i piani di dominio e conflitto e tutto sommato i dispositivi di comando neoliberale, il totalitarismo dei mercati, sono il denominatore comune nei progetti sia protezionistici che globalisti. Ecco perché questa risoluzione rappresenta un passaggio fondamentale per colmare sul piano dei “valori comuni” questo gap politico: chi sostiene l’antimilitarismo e l’antifascismo, esattamente come chi è comunista, va attaccato preventivamente. I patriottismi nazionali e il neopatriottismo europeista invece devono trovare una collocazione comune sullo scacchiere internazionale e devono affermarsi come elementi culturali di gestione dell’opinione pubblica.

Purtroppo chi non si rende conto di questo pericolo ed è rimasto indietro negli ultimi passaggi politici sono proprio coloro che intendono utilizzare il patriottismo in chiave anti-UE, finendo per divenire agenti attivi dell’unica forma che il patriottismo può assumere in una fase in cui la tendenza alla guerra emerge dalle contraddizione strutturali del capitalismo: lo sciovinismo militarista. C’è infatti da chiedersi se il sovranismo di sinistra possa essere da contrasto riguardo la marea montante reazionaria di una massa che ha accolto il salvinismo con entusiamo sulla chiusura dei porti, i rimpatri, la retorica tronfia del prima gli italiani, e che ora può bene assimilare una campagna aggressiva verso i nemici esterni. Infatti una massa che non è antimperialista, tutt’altro: che ha assimilato l’ideologia della competizione sociale coniugandola alla “difesa” del campanile, non può che divenire massa docile ai richiami del leader di turno sui nuovi nemici da battere. Una massa che non ha risposto alla macelleria sociale con una lotta rivolta alle vere cause e ai nemici che l’hanno determinata, ma che si è fatta facilmente abbindolare da personaggi istrionici.

Inoltre, questa tendenza a sviluppare una base ideologica comune rispecchia la realtà dei rapporti politici tra forze di regime che in apparenza possono sembrare in antagonismo tra loro, ma che invece sostengono politiche comuni. Infatti, le dinamiche politiche delle forze reazionarie in campo, dal PD alla Lega, ci dicono che queste marciano divise, ma colpiscono unite su questioni che li vedono insieme: dalle grandi opere come la TAV all’autonomia differenziata, alle misure di politica economica neoliberiste volute dalle euroburocrazie. Non confondiamo il teatrino dei pupi con un disegno politico complessivo che unisce varie componenti della borghesia, da quelle del capitale finanziario dominante ai ceti medi alla ricerca di un maggiore spazio politico. L’apparato ideologico, la base consensuale vanno preparati per le prossime decisioni che i centri di potere statunitensi e UE prenderanno in materia di conflitto con la Russia.

Essere anti-Ue non significa essere patriottici. Non siamo stati invasi da eserciti stranieri come nella fase finale della Seconda Guerra Mondiale, dove la difesa della Patria aveva un senso ben diverso. E non siamo neppure l’Irlanda o Euzkadi, popoli che vivono la presenza inglese e spagnola come occupazione. La cannibalizzazione dei paesi nord europei nei confronti del fronte sud dell’UE non è un neocolonialismo associato a un’occupazione militare, culturale e sociale. Grande abbaglio che disarma un fronte di classe per il Socialismo che deve comprendere che il nemico imperialista lo si batte e la rottura con l’UE la si opera internazionalizzando il conflitto sociale, coniugando specificità e istanze dei movimenti sociali e popolari dei singoli paesi in un’unica visione di lotta per la liberazione dal capitalismo neoliberale e dei suoi apparati di comando come i trattati UE, l’Euro, i dispositivi repressivi e militari. Cosa si farà quando ci sarà un’escalation militare a est? Quando scoppierà la guerra? O crediamo che non sia possibile, che questi nani meschini e irresponsabili che dominano l’Occidente siano persone sagge, in grado di fermarsi a tempo? Cosa si farà quando il patriottismo assumerà la sue forme storiche dello sciovinismo, surrogando ogni pena soggettiva e sociale facendo da collante contro il comune nemico del momento?

Questo disarmo ideologico a sinistra, questa visione fuorviante è un pericolo mortale per la possibilità di contrastare la guerra e di avviarci a un cambio sociale. La lotta contro la guerra unisce l’antimilitarismo in un’azione di contrasto militante ai suoi dispositivi bellici e infrastrutturali, alla sua macchina ideologica. L’ideologia della guerra imperialista va contrastata con una visione di classe e internazionalista.

Se si intende (e si deve) porre forte la questione della sovranità popolare, allora la questione non è solo nazionale: investe la sovranità di tutte le popolazioni nel chi decide cosa sul piano del modo di produzione, dei modelli di consumo, dell’energia, dell’alimentazione, delle modalità di chi e come gestisce la società. Da soli si fa la fine della Grecia, si vive lo stillicidio dei Gilet Jaunes che è lotta popolare prolungata, ma che ha bisogno della linfa vitale necessaria per affermarsi: l’estensione del conflitto sociale a macchia d’olio. Invece più paesi con un aspro conflitto sociale possono rompere la gabbia euroimperialista.

Non è più tempo di rivisitazioni anacronistiche del “socialismo in un solo paese”. I comunisti devono lavorare a un fronte di lotta internazionale, preparare le condizioni politiche anticapitaliste e antimilitariste per collegare le lotte sociali da paese a paese in base alle condizioni soggettive della classe e al maturarsi delle contraddizioni sociali. Le visioni nazionaliste non sono la risposta alla forte arretratezza identitaria delle classi operaie e delle masse popolari, alla scomposizione di classe. Non in paesi a capitalismo avanzato. L’autodeterminazione dei popoli, l’antimperialismo e il carattere della lotta di classe in paesi a capitalismo avanzato come il nostro hanno come asse centrale la contraddizione proletariato/borghesia. E su questo terreno si vanno a costruire alleanze sociali.