Per Bologna popolare

Per Bologna popolare

Come attivista di Potere al Popolo! sto partecipando al Tavolo sul Lavoro istituito nella campagna elettorale per le comunali di Bologna: Bologna Città Pubblica, Marta Collot Sindaco. Quello che segue è un documento politico che ho redatto dopo le due assemblee di PaP! e la prima riunione del Tavolo sul Lavoro.

In appendice anche alcuni appunti sulla sanità. Buona lettura.

Per Bologna popolare

La fuffa di Lepore e del PD

Matteo Lepore è il candidato sindaco del centrosinistra, battendo alle primarie la sua avversaria, Isabella Conti, di Italia Viva.

Per Lepore ci sono stati endorsment di rilievo come Vasco Errani, Venturi, Morgantini, Patrizio Roversi, Stefano Benni, Guccini, Matteo Santori che parla a nome delle Sardine non si sa a quale titolo (la democrazia è un circo barnum) e addirittura Prodi che, dopo lo scempio sul passaggio all’Euro, ti fa in realtà venir voglia di dartela a gambe levate. Ma tant’è, il popolo di sinistra ingoia tutto, anzi non se ne avvede. Così come non si avvede che nel sito di Lepore c’è il “chi sono”, la sua agenda, come si vota, probabilmente anche la ricetta della mortadella, ma non troverete una sola riga di programma politico. C’è giusto una paginetta striminzita dal titolo “Manifesto per Bologna”, dove parla un po’ di lavoro e un po’ di ecologia. Ma già si capisce che né liberismo, né speculazioni sono avversari, per il semplice fatto che gli avversari di questa devastazione sociale non esistono. Anzi non esiste neppure la crisi sociale se non come must elettorale da sventolare come tutti, Merola, Cofferati, ecc., i sindaci venuti prima di lui, per poi farla finire in cavalleria nel dopo elezioni.

Almeno Merola (sindaco disastroso per le classi popolari) con il suo pamphlet un po’ americano e un marchio che faceva il verso alla catena di palestre Virgin, qualcosa diceva. Lepore niente. Eppure ci sono questioni come il passante di mezzo, i trasporti urbani, la partecipata Hera, e le emergenze come la casa, il degrado delle periferie, i servizi alla persona sempre più scadenti e appaltati a ben introdotte coop e asp, la sanità sempre più preda di convenzioni che non risolvono i problemi dei tempi di diagnostica e cura, che meriterebbero una trattazione ben articolata. Lepore no: un po’ di demagogia come nel suo manifesto, ma senza soluzioni ai problemi veri delle e dei cittadin#.

Ma questo ormai è lo stile della politica dominante: il programma è secondario, deve “bucare” la persona, o piace o non piace, la gente vota in modo emotivo, le ideologie prima e le politiche poi vanno in soffitta, che c’entra il popolino? Le politiche e le decisioni riguardano i tecnici, gli esperti, le segreterie dei partiti, le stanze ristrette ed escludenti del potere di governance.

Questo è l’implicito dello stile politico di Lepore e di ciò che poi farà. E i 400 incontri che vanta di aver fatto per la città? Tutta fuffa, tanto poi lui e i suoi colleghi del PD, alias la giunta più qualche cespuglio, con riferimento le associazioni di categoria, le fondazioni, le coop, la curia, avranno le mani libere di continuare a fare ciò che facevano Merola e precedenti: gli interessi dei ceti dominanti.

La politica elettorale depoliticizzata, eviscerata di ogni elemento di programma è direttamente funzionale a slegare non solo la campagna elettorale dai problemi sociali, ma anche per slegare il locale dal nazionale, ossia le questioni di politica economica e le politiche sociali della città dalle politiche che in ambito centrale, governativo vengono portate avanti. Come se il pareggio di bilancio nulla c’entrasse nulla col patto di stabilità e restasse nelle sfondo, come elemento indiscutibile, da pilota automatico e nessuno dovesse mettere in discussione nulla. Eppure la messa a profitto dei servizi, il fare cassa sui cittadini, le esternalizzazioni (privatizzazioni) sono la diretta conseguenza delle ricette neoliberiste fatte passare in Costituzione e nella legislazione nazionale.

Così a livello locale, la “partecipazione” dei cittadini alle politiche comunali è un’altra fuffa: i cittadini non decidono nulla, c’è una sorta di competizione a insindacabile giudizio del Comune su alcuni progetti minimali e il budget messo a disposizione non è certo il bilancio partecipativo di certe esperienze come quella brasiliana, nata dal movimento no-global a Porto Alegre, per oggetti a bilancio e per entità della cifra.

Non si può parlare di Super Bologna quando non esiste alcuna concreta possibilità di contrastare le politiche di bilancio imposte dal centro, le regole draconiane neoliberali e mercantiliste e quindi avere la certezza dell’impossibilità di liberare risorse per le questioni sociali concrete: casa, lavoro, salute, scuola, formazione e cultura, servizi, trasporti, infrastrutture e lotta al dissesto idrogeologico.

Non si può parlare di super Bologna se non c’è nemmeno la volontà di farlo, vendendo fuffa, in realtà proseguendo il divario tra centro vetrina e periferie satellite, servizi scadenti e profitti delle partecipate, tra politiche ambientali e speculazioni intoccabili e in marcia come rulli compressori sulla pianura, sui Prati di Caprara, sull’abbattimento di alberi in città, erodendo i polmoni verdi disponibili.

Ecco, parlando di cosa non dice Lepore, capiamo cosa sarà questa città in mano al PD. Altro che futuro!

Ma per comprendere il vuoto, il nulla che sta nei discorsi leporiani, prendiamo un paio di passaggi dal “Manifesto per Bologna”.

Lepore fa un po’ di casino, perché tira in ballo i rider e i settori precari del lavoro parlando di diritti negati e del concetto di lavoro che “va ampliato”, andando a bomba sul “lavoro autonomo”. Quindi forse i precari devono diventare autonomi? O forse è il  lavoro autonomo la categoria in cui Lepore inserisce il precariato? O forse, partendo dai precari, finisce col parlare d’altro, ossia di autonomi e di “nuove forme di lavoro consentite dalla creatività e dalla moderna tecnologia” (una… c’è una sola tecnologia…)? L’ardua risposta a chi ci capisce ed è bravo. Ma la chiosa va sempre bene e fa parte del disco vendita dei migliori demagoghi: “necessitano quindi politiche attive del lavoro e un progetto formativo”… ridurre le diseguaglianze… e colpo finale elettoralistico: ammortizzatori sociali fino a quando non saremo usciti dalla crisi! Un colpo di teatro da vecchia volpe, di chi sa benissimo che il governo Draghi va in tutt’altra direzione con lo sblocco dei licenziamenti e la ciccia dei fondi alle imprese nella grande selezione della “distruzione creativa”, in un attacco da più direzioni al reddito di cittadinanza, al reddito in generale, allo stato sociale, che disegna l’Italia dei prossimi anni come una giungla, con un mercato del lavoro ancora più deregolamentato e forza lavoro desalarizzata e ricattabile ai massimi livelli! Ma se Lepore questo lo sa (e lo sa) ci vende ancora una volta fuffa. Tanto, del resto, che c’entra il Comune con le politiche nazionali e governative del lavoro? Una promessa da marinaio spendibile, su cui mantenere l’impegno sarebbe persino esercizio metafisico.

E poi la “transizione ecologica”: ridurre le emissioni climalteranti e l’inquinamento acustico. Anche qui in modo surreale: procedendo col passante di mezzo. Ma certo Lepore oggi non lo dice, fa l’ecologista, ma domani lo porterà avanti secondo il ruolino di marcia piddino, lasciato in eredità dalla giunta Merola. Ancora fuffa e oltretutto in malafede. Perché se c’è qualcosa che ci devasterà i polmoni e i timpani è proprio il passante di mezzo.

Come vedete è facile senza un programma dire tutto e fare poi il contrario di tutto. Avuti i voti, come si dice: passata la festa, gabbato lo santo.

Ma i tanti volti noti della sua campagna garantiscono per lui.

Bologna città pubblica: la partecipazione dal basso alle decisioni

Ma il problema fondamentale, oltre al vuoto pneumatico che prelude alla solita politica privatistica, clientelare, che caratterizza il PD, è soprattutto un altro. Ed è riassumibile in una parola: partecipazione.

Negli ultimi decenni, con la fine dei partiti di massa e l’avvento di una politica leggera, ma verticistica, d’intrattenimento, da salotto televisivo, da vip, abbiamo assistito a un progressivo allontanamento dalla politica da parte delle masse popolari. Oggi quello che si chiede loro è di mettere delle croci in un seggio, che siano primarie o elezioni. Un’abitudine così consolidata e che dall’altra parte non trova spinte alla critica e alla partecipazione dal basso, che persino a sinistra, forse antiliberiste a parole, persino comuniste hanno acquisito la pessima abitudine di prendere le decisioni politiche nelle stanze, tra segreterie e personalità spesso slegate da qualsiasi contesto conflittuale, di lotte sociali.

I media hanno questo compito di depoliticizzare la società, rendere inattive le persone, ed è per questo che i riflettori sono sempre e solo puntati sulle forze politiche principali, salvo gli spazi elettorali dovuti. Ma trasgredendo persino su quelli. Oggi c’è la tecnica più che la politica, perché è l’economia di parte, padronale, finanziaria a dominare le scelte nazionali come quelle locali. Tecnici, docenti, professori, tuttologi, esperti d’ogni tipo arruolati nei partiti dominanti a preludio dei futuri e profumati contratti di consulenza.

L’irruzione delle masse nella politica sarebbe un disastro per chi deve rispettare il pilota automatico euroliberista: dal patto di stabilità al pareggio di bilancio e all’ottemperanza dei trattati UE.

Ma questo è precisamente ciò che vuole Potere al Popolo!

Sappiamo bene che non è facile rompere il muro dell’inattivismo, del dialogare per decidere, ma è da noi, da chi abbiamo intorno, dai territori e dai luoghi di lavoro che dobbiamo partire se vogliamo riportare “i nostri”, ossia chi vive con sofferenza le diseguaglianze sociali, l’assenza di diritti, la precarietà, a discutere, decidere e lottare.

Questa è la reale democrazia, quella dal basso, nella partecipazione popolare alla politica attiva. Senza questo primo passo vinceranno sempre loro, i signori della fuffa e del pilota automatico, nelle elezioni, ma soprattutto nel vita quotidiana, nelle vertenze contrattuali, nelle politiche del welfare e via dicendo.

Potere al Popolo intende essere prima che un competitore elettorale un attivatore di coscienze e di azione popolare dal basso. È la condizione senza la quale la sinistra critica continuerà a parlarsi addosso e a non costruire nulla: a vagare tra l’essere cespuglio di una falsa sinistra più grande e liberista, o soggetto autoreferenziale a cui resta solo l’orgoglio ideologico.

Ma non partiamo da zero: Potere al Popolo, sin dalla sua nascita, si è mossa anche a Bologna nelle vertenze del lavoro, nei territori, sul diritto all’abitare, è cresciuta di numero di attivisti che si sono messi in gioco, lavoratrici, lavoratori, donne, giovani, anziani, tutti accomunati dalla volontà di contrastare questa deriva epocale di sistema, consapevoli che l’alternativa a un mondo più giusto c’è. Sapendo che non è facile fare politica per gli altri e non solo per se stessi.

Idealismo? certo, in un mondo trasformista e post-ideologico avere degli ideali suona un po’ fesso. Ma gli ideali li hanno tutti. E i peggiori sono quelli del mercato, del tutti contro tutti. 

Il nostro ideale, in realtà, è un’idea: un’idea diversa di città. L’abbiamo chiamata Bologna città pubblica, perché siamo tutti noi, come comunità e la nostra partecipazione attiva dal basso a riportare i temi in agenda ai bisogni primari della cittadinanza a partire dai settori sociali più disagiati. Primari e secondari. Il pane e le rose. Ed è questa comunità in cammino, in lotta che può ricostruire lo stato sociale, e affermare i diritti del popolo sanciti dalla nostra Carta Costituzionale nata dalla Resistenza antifascista.

Possiamo metterci in gioco tutti insieme, proseguendo una battaglia politica e sociale per i diritti sociali alla salute, all’istruzione, al lavoro stabile e garantito, a partire da alcuni punti che riteniamo fondamentali. E sui quali come cittadine/i siamo chiamate/i tutti a confrontarci e intraprendere un percorso comune, di autentica unità in una politica popolare dal basso.

Sono punti che attraversano i tavoli popolari che abbiamo deciso di attivare nella nostra prima assemblea pubblica.

1. Le politiche del lavoro si basano sulle reinternalizzazioni e il welfare pubblico

Abbiamo visto come gli appalti pubblici al ribasso e le privatizzazioni abbiano portato a uno scadimento dei servizi alla persona a partire dall’ambito socio-assistenziale; dall’altra a un peggioramento delle condizioni di lavoro e salariali di chi lavora, a un demansionamento e alla precarietà esistenziale. Quella condotta dalle giunte a guida PD è una politica contraria agli interessi dei lavoratori e alla domanda di qualità e tempi rapidi del servizio da parte dei cittadini. E intanto le cooperative degli amici, il manageriato ci ha campato più che bene in uno scambio con consenso elettorale. È il sistema PD, non nascondiamolo. Le clientele devono finire. Il pubblico deve tornare a essere il soggetto primario erogatore di servizi alla persona in un cambiamento strutturale della pubblica amministrazione.

Disabilità, anziani, doposcuola, campi estivi, mense scolastiche, disagio sociale, integrazione, cultura: un Comune inclusivo, che si batte contro le povertà e il degrado non è un Comune sceriffo, ma un welfare che interviene sui problemi concreti ed eroga servizi che accompagnano e supportano le persone di ogni età, tutti. Con un’attenzione particolare ai settori sociali più deboli.

Noi pensiamo a un Comune dalla parte dei lavoratori, anche nel privato. Un Comune che può far molto male al portafoglio di quei padroni grandi o piccoli che siano, nell’industria come nel terziario che non rispettano i contratti, fanno lavoro nero che usano i mille espedienti delle leggi borghesi per sfruttare e cacciar via come limoni spremuti i lavoratori e perpetrare il precariato sociale. Anche questi comportamenti diventano un costo sociale per la collettività, oltre che e soprattutto a creare miseria e disagio. Abbiamo i vigili e dei regolamenti comunali su tutto: usiamoli come elemento di pressione e deterrenza verso le imprese abituate troppo bene dai governi e dai partiti di regime.

Ma soprattutto un Comune che a partire dal mondo del lavoro di sua pertinenza, diretto o indiretto, inizi a dare il buon esempio alla città e al paese, fissando un salario minimo garantito a 9 Euro/h nette. Con tutte le conseguenze a cascata per gli altri settori.

Una battaglia importante sul terreno del lavoro, ma anche su quello ambientale, è quella contro il decreto semplificazioni, che di fatto fa entrare con più facilità um’imprenditorialità poco o per nulla trasparente e rende rapide e più facili le decisioni di impatto ambientale, ecosostenibilità, allargando le maglie a opere nocive nel nome della ripresa economica: altro che attenzione all’ecologia!

Per i lavoratori rappresenta un peggioramento delle condizioni di lavoro, dato che saranno ancora più facili i subappalti e nello sgocciolamento dei fondi, tra funzionari, manager, padroncini vari, alla classe operaia resteranno come sempre poche luride gocce e un grande sfruttamento senza controlli. Al contrario il Comune deve sviluppare opere pubbliche fatte dal pubblico e rigorosamente ecocompatibili, adottando criteri di analisi e controllo altrettanto rigorose. Inoltre le gare non devono mai essere al ribasso ma porre nelle clausole di partecipazione e nelle penali le summenzionate soglie salariali, con successive rendicontazioni serie sull’uso dei denari pubblici e certificazioni antimafia su tutta la filiera che opera sulla commessa.

2. Per una sanità pubblica e di territorio

Lo stesso discorso vale per la sanità in generale. Tutti abbiamo potuto vedere come i tagli alla sanità degli ultimi decenni abbiano colto impreparato il sistema paese davanti a questa pandemia di immani proporzioni. Ci sono paesi con sistemi sanitari pubblici efficienti che hanno saputo reagire e avere molte meno vittime. Un esempio per tutti, si pensi solo a Cuba, che nonostante l’embargo imposto dagli USA, non solo ha saputo intervenire sulla propria popolazione, ma ha avuto anche la capacità di aiutare noi con l’invio di medici specialisti nel periodo più infernale del Covid-19.

E che dire della sanità privata? La Lombardia è uno scandalo che grida vendetta: tutti bravi a prendere soldi per sviluppare una sanità privata cara per diagnostica e cura, sfruttando le smagliature e i tempi del pubblico. Salvo poi non dare nulla in cambio nell’emergenza, con governi regionali che non hanno commissariato nessuno di fronte allo sviluppo dei contagi e al numero in aumento delle vittime del coronavirus. E una medicina di territorio completamente smantellata ovunque. Basta: il problema non è solo il covid, gli anziani dovrebbero avere a disposizione centri geriatrici pubblici di riferimento, dalle visite a casa ai day hospital. Il Comune non se la può cavare con le “case della salute”, dove pubblico e privato si incontrano mentre strutture pubbliche di eccellenza come il Tiarini vengono dismesse.

3. Diritto all’abitare

Per troppo tempo il mercato immobiliare l’ha fatta da padrone, tra locazioni in nero, concessioni sanate con facilità, speculazioni edilizie d’ogni tipo. E un’ACER che ha messo a profitto il patrimonio edilizio pubblico, lasciando in mezzo alla strada numerose famiglie. E le domande che molti cittadini con il problema della casa aumentano: come viene gestito il patrimonio abitativo pubblico di Acer? Come mai i canoni continuano ad aumentare? 

Perché ACER non fa la manutenzione necessaria negli alloggi ERP? Come mai ci sono tante case sfitte? Come si giustificano liste di attesa di assegnazione infinite?

Intanto però i costi degli affitti sono proibitivi, gli sfratti sono proseguiti anche sotto la pandemia, senza pietà, e la politica abitativa segue insieme alla speculazione, l’espulsione delle fasce sociali più deboli dal centro storico con un incremento del degrado abitativo nelle periferie, come i mostri come la trilogia del Navile.

A questo punto i provvedimenti sono semplici: commissariare l’ACER e mandare a casa Alberani, amico di Lepore e soci. L’amministrazione di questo ente va riportata alle esigenze abitative, togliendola dal mercato.

La speculazione paga? Sì, ma non come pensa lei: deve pagare salate le sanatorie per qualsiasi opera che va a intaccare il verde urbano: parcheggi, piazzali, ecc.. Legge AirB&B: tassazione dei bed and breakfast, lotta alle locazioni in nero: basta speculare sugli studenti!

Oltre a questo: destinazione d’uso delle aree dismesse non solo sul piano abitativo: la miglior lotta al degrado non sono le forze dell’ordine, ma l’autogestione popolare degli spazi, riportando alla cittadinanza e alla vita sociale, edifici e aree degradate.

4. Trasporti che servono sul serio e in sicurezza

Nell’ultimo anno e mezzo di pandemia abbiamo visto come la gran parte degli assembramenti e quindi dei veicoli di contagio siano stati i … veicoli pubblici! Mentre dalle periferie al centro migliaia di pendolari ogni giorno si ritrovavano pigiati e nulla è stato fatto per potenziare la rete filotramviaria (magari commissariando le imprese private di pullman, rimasti nelle autorimesse a non far nulla e i lavoratori a casa). Intanto però autobus vuoti dal centro a FICO testimoniavano la speculazione pro cordata Eataly-Farinetti, regalo di Merola non certo alla cittadinanza, e i soldi nostri cacciati via, insieme a un People Mover che insieme al Civis evidenzia il fallimento delle politiche dei trasporti pubblici. Per il PM bastano due cm di neve per impiantarsi nella nuda rotaia. Un investimento “eccellente”, non c’è che dire! Sempre con i soldi nostri.

Il progetto di collegamento tra un’area urbana e l’altra poi, non tiene conto delle reali esigenze dei cittadini, puntando tutto sulla “città vetrina” che deve essere servita dagli hub del turismo.

Noi invece siamo per una rete di trasporti pubblici a prezzi calmierati che serve quelle parti della città, le periferie che resterebbero anche per questo dei quartieri dormitorio. Siamo per implementare la rete ferroviaria con nuove tecnologie basate sulla rotaia. Siamo per la realizzazione di piste ciclabili serie e non come quelle strisce a foglia di fico lungo le strade anche ad alta e veloce percorrenza che non garantiscono certo la sicurezza dei ciclisti.

5. I beni pubblici come l’acqua sono pubblici e non occasioni di profitto

Hera, che vede la presenza anche del Comune, fa plusvalenze milionarie. Ma non le reinveste in ammodernamento della rete idrica e del gas, in nuove tecnologie, in risparmio nel contrasto alla dispersione idrica per esempio, bensì li trasforma in dividendi tra azionisti. L’abbiamo visto anche con autostrade: basta far fare profitti agli speculatori e lasciare che questi non facciano alcuna opera di ammodernamento. Poi si sa come va a finire.

6. L’ambiente è di tutti e il cambio deve essere di paradigma

È inutile dichiarare di essere ambientalisti quando poi si portano avanti opere come il passante. Qui le questioni sono molto semplici, andando verso un cambiamento epocale del modo di produrre e consumare, dall’idrocarburo alle energie rinnovabili: cominciamo con il difendere il nostro verde e a incrementarlo, a migliorare la qualità dell’aria che respiriamo. Sono propositi che con il PD e le sue giunte durano il tempo delle elezioni, perché poi a prevalere sono gli interessi privati di chi mette le mani sulla città, per parafrasare un bellissimo e attuale film di Rosi. Interessi privati anche sulle politiche del Comune, quindi sul pubblico. Occorro delibere che tutelino il patrimonio verde e idrico, ma soprattutto vanno fatte rispettare sopra ogni interesse particolare. È già qualcosa, in linea con un cambiamento di sistema, strutturale di più ampia portata.

Partecipa anche tu! Bologna città pubblica è anche Bologna città aperta alle proposte di tutte/i.

Questi sono i punti che abbiamo individuato noi e su cui continueremo a lavorare con i nostri tavoli popolari:

(…)

Potere al Popolo non è il partito delle clientele e delle promesse elettorali, ma una forza politica plurale, basata sulla partecipazione dal basso, che intende dare voce e forza a chi la voce viene tolta ogni giorno.


Socialismo, capitalismo e sanità

Al di là dei bombardamenti mediatici falsificanti, è un dato di fatto che gli Stati che hanno sviluppato o conservato uno stato sociale funzionante e quindi una capacità operativa decisionale che non ha intralci da parte dell’interesse privato, hanno reagito meglio di fronte alla pandemia da covid-19 e meglio difeso la salute pubblica, protetto i propri cittadini.

Sappiamo che salvo eccezioni come Cuba, non esiste al momento nel mondo un modello di Socialismo di transizione al Comunismo e che la lotta che oppone le forze del progresso sociale al capitalismo imperialista e neoliberista sarà ancora lunga e il percorso complesso e non certo lineare come pensa chi rimane meccanicisticamente ancorato alle formule dei classici. Tuttavia, una grande lezione che il movimento di classe al Socialismo può trarre dall’esperienza dell’ultimo anno e mezzo è la conferma che il mondo non può restare nelle mani di pochi pescecani della finanza internazionale e delle multinazionali e non è possibile continuare ad avere governi loro asserviti.

Solo per fare un esempio, le regalie a big pharma sui vaccini (rigorosamente brevettati e non certo liberalizzati) hanno comportato la totale assenza di una medicina di territorio senza approfondire diagnostica e terapie, che pure c’erano, hanno portato a stravolgere la convivenza civile, la vita e il lavoro di milioni di persone nel nome dell’emergenza (e a migliaia di morti, gente che poteva essere curata diversamente e meglio), raggiungendo l’obiettivo di imporre alle popolazioni un regime sanitario come salto antropologico e tecnologico verso una società altamente disciplinare.

Questa forzatura, che ha visto nascere forme di opposizione sociale spesso spontanea e in confusione, preda anche della demagogia delle destre, non può non essere raccolta dal movimento di classe al Socialismo, unendo le istanze libertarie più genuine a un’aspirazione più generale a un modo di vita liberato dalle logiche e dalle dinamiche del profitto e del mercato.

Il lockdown che stiamo vivendo ha ben poco a che vedere con la sicurezza sanitaria: si fa il coprifuoco alle 22 o 23, la ristorazione segue criteri a intermittenza demenziali, mentre gli autobus sono pieni zeppi e non c’è un reale controllo sui cicli produttivi e gli ambienti di lavoro. Un lockdown a su misura di Confindustria in definitiva, che penalizza i ceti medi che vivono di turismo, ristorazione, piccolo commercio e artigianato e un grande vantaggio competitivo per le multinazionali  e le reti in franchising dell’e-commerce per una società amazonizzata e uberizzata.

Tutto questo ha comportato un enorme trasferimento di ricchezza sociale e una concentrazione di capitali verso i colossi multinazionali come Amazon, e nel contempo una devastazione e una proletarizzazione dei ceti medi.

Solo che le istanze no mask, no vax e negazioniste puntano negare il problema virus per riproporre gli interessi intermedi di una borghesia messa tra incudine e martello e, in definitiva, a rimbalzare le criticità imprenditoriali contro i più deboli, i lavoratori ricattati e decontrattualizzati (vedi l’attacco al reddito di cittadinanza da parte dei padroncini). E la guerra tra poveri continua mentre il capitale monopolistico impera.

Invece, il sacrificio imposto alla popolazione nei paesi socialisti e a capitalismo di stato è stato vissuto dal popolo come un percorso necessario di fronte all’attacco del virus ed ha avuto uno sviluppo rapido e risolutivo. La Cina ha ricominciato una normale convivenza nelle aree interessate come Wuhan e nel resto del paese in un paio di mesi al massimo, con la tracciabilità e un intervento massiccio sul piano sanitario. Quale paese occidentale atlantista è in grado d costruire un ospedale in soli 10 giorni?

Da tempo la Cina ha ripreso le attività e la produzione, mentre i paesi atlantisti a guida USA e la stessa Unione Europea sono rimasti praticamente al palo, agonizzanti nella pandemia.

Mentre in questi paesi esiste da decenni una passivizzazione delle masse, indotta dagli apparati sovrastrutturali del sistema capitalistico, media in primis, ma anche le modalità in cui avviene la politica dominate sul piano sociale, nei paesi socialisti o a governance statale predominante, la coscienza sociale della nazione, l’identità collettiva e la partecipazione popolare a determinati eventi come bene comune e come autoconsapevolezza che il popolo ha di sé, sono elementi acquisiti, che rivelano una forte maturità politica (delle cose della polis) collettiva. Sono le condizioni che favoriscono un’evoluzione sociale verso forme più avanzate di società, oltre che un antidoto a situazioni emergenziali, catastrofi naturali o conflitti.

Con questo, non vuol dire che l’opinione che ho di taluni paesi sia in complesso positiva. Significa però comprendere che il problema principale che ci impedisce uno sblocco della situazione stagnante congiunturale nei paesi occidentali, e in particolare nel nostro, è proprio questa passivizzazione forzata. Un grande problema per i comunisti. Un partito senza classe, un moderno principe senza esercito, non va molto in là.

Sul piano sanitario, un programma che risolva le questioni della salute pubblica non solo sul fronte del coronavirus, ma anche su quello delle centinaia di patologie, i cui pazienti hanno visto con la pandemia peggiorare e allungarsi i tempi di diagnostica e di cura, deve articolarsi in due punti essenziali:

1. L’esproprio dei brevetti vaccinali e la socializzazione dei vaccini a tutti i popoli, perché o ne usciamo tutti o l’umanità non ne esce.

2. L’eliminazione dell’autonomia differenziata, ossia del Titolo V, istituendo un gabinetto centrale di governance della salute pubblica che come prima cosa, inverta i finanziamenti dal privato verso il welfare statale, rimetta al centro lo Sanità pubblica e la riorganizzi estendendola con presidi sul territorio. Che reinternalizzi i lavoratori bloccando convenzioni e appalti, e nazionalizzando o cooptando le strutture sanitarie private.

Le lotte rivendicative su questo terreno dunque, non possono che svilupparsi lungo un paio di direttrici:

I vaccini non servono per far fare profitti alle multinazionali, ma per salvare vite umane e riportare le società a una vita sociale libera e sicura: vanno espropriati i brevetti e socializzati alle popolazioni di tutto il mondo. Cuba docet.

Mettere al centro e potenziare la sanità pubblica assumendo e reinternalizzando medici e paramedici, costituire presidi di territorio per il monitoraggio della salute collettiva, la diagnostica tempestiva e le terapie altrettanto tempestive.

Mettere in campo contro il covid-19 una task force sulla tracciabilità. Attivare un intervento capillare sul territorio, mettendo in condivisione le terapie dal primo intervento in casa fino all’eventuale e necessaria ospedalizzazione: nessuno deve stare in “tachipirina e vigile attesa” in casa.

Anziani: contrariamente alle aspettative di vita che si auspicano l’INPS e l’intero carrozzone di regime che (occultandolo) hanno assunto il must “dovete morire prima”, ai nostri genitori e nonni vanno garantite la salute e la longevità. Che vadano a lavorare i giovani (tanto per parlare di età pensionabile), che vengano destinate risorse a chi ha dato tanto per la società e ora ha diritto a una vita sicura e tranquilla!

I presidi di territorio devono comprendere anche delle geriatrie di quartiere, con assistenti sociali e fondi contro l’indigenza, la solitudine, l’alzheimer e le demenze senili, le difficoltà motorie e con un monitoraggio capillare sulla popolazione anziana e le sue autonomie residue.