“Al primo tentativo fascista deve seguire rapida, secca, spietata la risposta degli operai e deve questa risposta essere tale che il ricordo ne sia tramandato fino ai pronipoti dei signori capitalisti. Alla guerra come alla guerra, e in guerra i colpi non si danno a patti.”
(Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, 1921)
L’episodio dell’altro giorno ai cancelli del magazzino della filiale TNT Fedex di Tavazzano a Lodi, nel quale lavoratori in lotta sono stati aggrediti da una squadra di mazzieri usciti dall’azienda di Zampieri è un fatto di una gravità inaudita e che necessita di alcune considerazioni.
Ma prima il contesto, ossia il carattere pacifico di una lotta operaia condotta dal sindacato SiCobas per il reintegro dei 272 lavoratori della logistica lasciati a casa dopo la decisione di chiudere l’hub della logistica di Piacenza. E i fatti: l’aggressione è avvenuta dall’interno dell’azienda ed è stata di una violenza inaudita con uso di bastoni e taser e lancio sempre di batoni e sassi contro i lavoratori, che hanno lasciato sul campo una decina di feriti, tra cui uno grave: Abdelhamid Elazab (nella foto qui sopra), con la faccia spaccata, 15 giorni di prognosi e poteva pure andare peggio.
La polizia, presente in tenuta antisommossa, non ha mosso un dito. Ha lasciato che i lavoratori venissero caricati da questi squadristi prezzolati dalla proprietà e alcuni media hanno fatto il resto, derubricando l’episodio a rissa tra colleghi. Prima Lodi per esempio parla di una maxi-rissa.
Altro episodio pochi giorni dopo alla Texprint di Prato, altra aggressione al presidio dei lavoratori del SiCobas in lotta per il posto di lavoro. Un’escalation che ha avuto un’accelerata con il governo Draghi, un esecutivo totalmente dalla parte del padronato, senza se e senza ma. A questo punto, le riflessioni.
La prima riflessione è sul comportamento della polizia: ve lo immaginate se fosse stato il contrario, se i lavoratori avessero aggredito a sprangate e sassi soggetti dentro l’azienda? Le forze dell’ordine, anzi del disordine, sarebbero intervenute con la violenza a cui siamo abituati Anzi di più, poiché per molto meno i lavoratori in lotta in genere vengono caricati e picchiati come tambuti da polizia e carabinieri.
Dunque, questo episodio non può non riportarci al periodo precedente l’ascesa del fascismo in Italia: quando le squadracce fasciste agivano indisturbate con la complicità delle guardie regie, e attaccavano le lotte di allora.
Un episodio analogo era già accaduto a San Giuliano Milanese il 24 maggio. E non è la prima volta neppure quella. C’è stata un’escalation soprattutto nelle aziende della logistica con episodi specifici: auto di delegati sindacali distrutte, minacce, pestaggi: una copia carbone di come ha iniziato ad agire il fascismo di allora, ben pagato e organizzato da padroni, agrari e industriali.
Il contesto in cui matura questa offensiva criminale e illegale di certo padronato è molto simile a quella del fascismo di cento anni fa e questo non vi fa venire i brividi? Ma in questo contesto lo stato sta giocando il medesimo ruolo di allora: nella sua inerzia contro la violenza antioperaia c’è tutta la complicità e la connivenza con questi padroni e con il padronato in generale. La loro legalità è a senso unico: non vale per i lavoratori in lotta.
La seconda riflessione riguarda il clima di caccia alle streghe che si sta creando nel paese contro le lavoratrici e i lavoratori che rivendicano un giusto salario, dignità nel lavoro, che contestano un mercato del lavoro basato sulla precarietà e i ricatti. Lo abbiamo visto con l’attacco di tutta una serie di padroncini di merda contro il reddito di cittadinanza: ne ho parlato nella puntata precedente. Questo clima fa parte di una politca autoritaria e repressiva che si fa forte della lesione dei diritti civili più elementari avvenuta con il lockdown da pandemia, per assoggettare le masse popolari al super-sfruttamento che si prefigura con questa nuova fase che Draghi, Confindustria e partitocrazia definiscono di ripresa.
E in questa politica ci sta tutto: dalla macelleria sociale e sul lavoro, vedi lo sblocco dei licenziamenti e la prosecuzione delle politiche di attacco salariale e delle condizioni lavorative, all’extralegalità criminale del padronato.
La terza riflessione è sui sindacati concertativi, CGIL, CISL e UIL, che mentre appoggiano questa politca di governo con qualche debole lamentela sullo sblocco dei licenziamenti, si fanno agenti di divisione delle classi lavoratrici nelle aziende, lasciando fare al sistema dei subappalti e delle scatole cinesi delle cooperative che aprono e chiudono e rubano e licenziano. Un sistema di connivenze tra sindacati, associazioni di categoria, cooperative e imprese che genera profitti da una parte e precarietà, bassi salari e condizioni di lavoro semi-schiavistiche dall’latra.
Dunque le rappresentanze di base della lavoratrici e dei lavoratori hanno più di un nemico in azienda e sul territorio che va dall’arroganza padronale alla violenza di polizia e mazzieri prezzolati, passando per il corporativismo sindacale che è difesa di alcuni contro altri, inattività, complicità con il capitale.
La quarta riflessione evidenzia la comparsa di un razzismo padronale che gode della totale impunità a causa dell’opinione pubblica manipolata. Ma sì è una rissa tra immigrati, sono i soliti marocchini! Padroni e loro mazzieri nella logistica e non solo, sanno di poter agire da squadristi perché davanti hanno a che fare in prevalenza con lavoratori migranti. È una ragione in più per far decidere per lo squadrismo, dopo la complicità garantita della polizia.
I migranti devono essere ricattati, minacciati e brutalizzati fin dal primo momento che mettono piede sui nostri bagnasciuga. Con buona pace delle bandierine per la pace e dei post dei centrosinistri, piddini e cespuglietti vari, che vivono politicamente sulla questione dei respingimenti e dei porti, ma non capiscono nulla dell’intero sistema di riduzione in nuova schiavitù di forza-lavoro proveniente da altri paesi, sistema di cui fanno parte anche le loro belle cooperative del subappalto. E qui torniamo alle politiche sindacali corporative: che cianciano di unità, ma nella realtà agevolano gli attacchi antioperai a questa forza-lavoro, rendendo questa divisione complice ancora più oscena e nei fatti razzista.
La quinta e ultima riflessione mi riporta tra gli anni ’60 e ’70, quando nelle fabbriche i cortei interni spazzavano via linee di produzione e capetti, la forza operaia di massa era così tangibile che bastava una telefonata sgradevole per mettere a posto un kapò troppo zelante. E la questione è molto semplice: se non hanno paura anche loro le cose andranno sempre peggio.
Occorre dunque che le lavoratrici e i lavoratori costruiscano organizzazione e si autodifendano contrattaccando: quella da allora si è chiamata autonomia operaia o di classe.
Siamo in guerra, questa è la realtà, una guerra sociale condotta unilateralmente dall’alto contro il basso: le lotte e chi le conduce vengono colpite con sempre più brutale violenza sia dalle forze di polizia che dai novelli Pinkerton assoldati dai padroni. È ora di reagire.
Certo, non per ripercorrere strade che poi sono sfociate in sonore sconfitte: occorre intelligenza politica. Ma organizzarsi e mettere in campo la propria forza materiale dentro a quello che è l’acquario globale, fatto di grandi pescecani e squaletti d’ogni risma è proprio il minimo sindacale.
A far scoprire a lor signori che tanti piccoli pescetti, innocui in apparenza, se sono in banco possono trasformarsi in combattivi piranha. Altro che sardine!