Parliamo invece del paese reale, a cosa stiamo andando incontro. L’evento Covid-19 ha messo a nudo le contraddizioni stridenti di questo sistema capitalistaneo liberale con miliardi di persone, decine di milioni solo nel nostro continente, la sua inefficacia, l’avulsità con la vita di tutti, a parte il ristretto circolo di rentier, manager e oligarchi.
Ora la parola d’ordine è più che mai cane mangia cane. I più grossi cannibalizzano i più piccoli, i più forti i più deboli (qui, un’ottima analisi su cui non mi dilungo). Ma oltre a questo, la massa, la plebaglia, il proletariato già in massima parte ridotto in condizioni semi-servili, a sudditame non ha partita nella guerra tra possidenti. Ma questa massa come sta oggi?
Già ieri aveva perso diritti, salari, servizi nella riduzione della società a terra di privatizzazioni, a messa a profitto, ad accumulazione originaria, a subordinazione totale del lavoro al capitale. Oggi è peggio. C’è una gran parte della popolazione italiana che ha perso ogni fonte di reddito, che ha perso il lavoro e la situazione sta andando verso forti tensioni sociali. Ad aggravare questa situazione è la sospensione di ogni libertà individuale in una sorta di quarantena generale, interrotta solo dai tempi e dalle modalità della produzione capitalistica e della sua realizzazione del profitto. Allora in questo caso devi uscire, rischiare e lavorare. Il malcontento monta inevitabile.
E al governo cosa pensano? Dalla relazione del ministro degli interni Lamorgese sulla possibilità di rivolte condotte da organizzazioni criminali ed elementi sovversivi si desume che sanno bene di essere seduti su una polveriera, ma l’italica abitudine di prender tempo e lasciare che il cadavere arrivi a puzzare oltre misura, magari nascondendolo sotto il tappeto è ancora adesso il metodo adottato, confidando più sulla polizia e gli apparati repressivi in genere che sul buon senso. Le classi dirigenti non intendono concedere nulla che non sia semplice e inadeguata carità sociale.
Il buon senso non alberga nelle corde mentali della grande borghesia italiana, da sempre cialtrona e parassitaria e dei suoi burocrati di turno: capace di succhiare allo Stato fondi per questo o per quello, ma per poi tornare a inneggiare al mercato quando si tratta di speculare. Hanno diffuso il contagio continuando le produzioni e facendoci credere che il problema fosse Fufi portato a spasso al parco, o la seconda casa di qualche fortunato piccolo borghese, e ora, incapaci coni loro governanti meschini e altrettanto cialtroni di fare scelte decise e radicali, sperano che il tifone prenda un’altra direzione o non arrivi proprio.
Sarebbe il momento di redistribuire la ricchezza sociale per salvare il salvabile, visto che i motivi umanitari non sono nelle loro corde. Sarebbe il momento non di indebitarci ancora di più, di mollare le sanguisughe di Bruxelles che già si leccano le ventose, pronte con il MES a ridurre il nostro paese a un batustan e a depredarlo definitivamente, e a generare titoli di valore con na moneta anche solo parallela all’Euro, titoli italiani per chi vive in Italia, pianificare, nazionalizzare quanto meno tutti i cicli produttivo, le multiutilities che oggi fanno funzionare il paese, mettere sotto controllo la finanza. Ma c’è un “dettaglio”: la classe dirigente, la finanza italiana, il sistema bancario, così come quello industriale è legato per investimentie partecipazioni alla finanza continentale e mondiale. Sono più “sabaudi” di Cavour.
Il gattopardo deve essere così com’è, come è stato fissato a Maastricht e a Lisbona. Costi quel che costi. Il ragionamento demenziale, che soprattutto si tramanda a sinistra con i dem(enziali) PD e i renziani, è quello che “ci vuole” per mandare tutto a schifio. Noi non sappiamo cosa ci attende dietro l’angolo. Ma già fin da adesso possiamo dire che nell’Europa euroliberale può capitare di tutto. E non mi riferisco ai soli eurosovranisti alla Orban che in Ungheria, ma anche in Slovenia in questi giorni di Covid hanno fatto veri e propri golpe fascisti: l’esercito per le strade ora lo abbiamo anche qua. E diviene chiaro che il motivo non è solo per quarantenare il paese: dietro l’angolo c’è il Cile.
Ecco allora che la rivolta, l’insurrezione, con le contraddizioni che esplodono e le mediazioni sociali che cadono diviene una strada obbligata per chiunque da oppresso stia subendo questo stato di cose ormai inadeguato a mantenere una soglia minima di convivenza civile e controllo sociale che abbiauna parvenza di consenso democratico. Un discorso così, due mesi fa, avrebbe fatto ai più invocare un TSO. Ora è drammaticamente attuale per maturate condizioni oggettive (anche se non esiste un’avanguardia popolare e rivoluzionaria riconosciuta ed espressione del malcontento), per via del precipitare della situazione stessa.
Ma una rivolta sociale ci vuole, è necessaria, anche nelle sue forme iniziali contraddittorie di malcontento mal indirizzato e disorganico. Anche inquinato in molti casi da forze non propriamente cristalline. Questa classe dirigente deve vacillare e semmai cadere, deve mostrare il suo vero volto assassino, la sua protervia brutale sin’ora mascherata dietro gli “eroi della terapia intensiva” e dell’inno d’Italia ai balconi. Dall’altra parte deve nascere una jacquerie che pone condizioni se non vogliono saltare teste in senso letterale: i rapporti di forza devono ribaltarsi sotto i potenti colpi di una massa che ritrova senso, identità e progetto proprio attraverso la rivolta.
Questo è ciò che sta mettendo a nudo il Covid. Milioni di persone hanno capito quello che in decenni non hanno compreso, tra riduzioni di diritti, reddito, servizi primari. Ora tutto d’un colpo si capisce che non c’è soluzione in questo sistema, con questa classe dirigente. Il compito dei comunisti va da sé.