Ormai da parecchi anni ho posto l’accento sulla caratteristica di predatore dell’attuale capitalismo, facendo riferimento alle enclosures inglesi, quelle che Marx definiva come accumulazione originaria. Pertanto se qualcuno pensasse che il capitale è semplicemente sfruttamento della forza-lavoro nella sua corsa ai profitti, vedrebbe solo una parte del modo in cui li ottiene.
Il proletariato moderno si è formato proprio attraverso l’accumulazione orginaria, così come si sono formati i capitali necessari a sviluppare i cicli di produzione. Dunque la predazione, allora attraverso l’acquisizione di enormi porzioni di terra che rovesciavano in miseria intere masse contadine costringendole a inurbarsi, oggi attraverso l’ipertrofia finanziaria che diviene potenza predatrice nel suo muoversi, investire e disinvestire, è un elemento imprescindibile per l’accumulazione capitalistica e per l’esercizio del potere del grande capitale finanziario e multinazionale sulle società e sui popoli.
Da parecchi anni identificavo nell’attacco ai diritti espressi in welfare pubblico, salario diretto, indiretto e differito, il processo predatorio per eccellenza, che partiva dal rapporto capitale/lavoro, er espandersi a tutti gli ambiti in cui il salario anche indirettamente incideva sui servizi alla persona, alla popolazione, attraverso la gestione del pubblico e della sua previdenza.
Ma ciò che va visto oggi con più precisione è un altro aspetto del processo predatorio. Negli utimi decenni abbiamo visto un progressvo attacco ai ceti medi, che si sono impoveriti in modo progressivo e inesorabile, il riflesso dell’assalto delle grandi concentrazioni del capitale e delle corporation, fondi cartelli bancari, alla ricchezza sociale prodotta anche dalle piccole e medie imprese, alle proprietà strumentali e immobiliari attraverso le bolle speculative e le politiche del credito che regolano i rapporti di concorrenza nella deflazione a vantaggio del grande capitale oligopolistico e che sono state messe in moto dalle euroburocrazie in Europa e da personaggi guarda caso come Draghi.
Abbiamo visto come nella gestione capitalistica della pandemia si sono modificate le modalità di accesso ai beni e ai servizi, con una crescita spaventosa del delivery, le misure coercitive, i coprifuochi, i lock down sono serviti essenzialmente per deprimere un mercato interno già in crisi per la deflazione. Abbiamo dunque una composizione di classe ce resta al pianterreno nell’ascensore sociale, ma che è appounto molto composita e fluida nel passare da una condizione sociale di miseria all’altra: dal precario con salario a intermittenza al negoziante o all’artigiano che chiude bottega, e l’un finisce con il fare l’altro come tanti pesci di dibattono sulla battigia privi di acqua per respirare con le branchie.
I grandi pescecani invece sono muniti di bombole e maschere e si muovono molto bene e a loro agio agio in questo inferno sociale. Là dove dove chiude un’eccellenza comprano, là dove un esercizio è in crisi lo franchisizzano nella loro rete di e-commerce. Non è vero che la pandemia sta creando problemi di liquidità ai colossi multinazionali. Certo, alcuni comparti entrano in crisi come le grandi catene alberghiere e gli hub aeroportuali insieme lle compagnie aeree, ma nei giochi dei disinvestimenti e investimenti alla fine la somma non zero e neppure negativa.
Questo qui a fianco è l’indice CAC 40 ripartito in dieci anni ed è piuttosto eloquente nel mostrare un innalzamento del picco di borsa proprio in corrispondenza con la pandemia da covid.
Di questi giorni è la notizia della “riforma” green in cantiere nell’UE sui beni immobili. In apparenza ciò può sembrare buona cosa cercare di dare alle case un valoro energetico virtuoso, ma in realtà non è così.
Si tratta infatti di un obbligo energetico per vendere casa che entrerà in vigore nel 2030: gli euroburocrati preparano il grande massacro immobiliare. I mutui resteranno quello che sono e il bingo sulle case dei cittadini, soprattutto in Italia dove le proprietà a partire dalle prime case e dai capannoni è la dominante per famiglie e aziende, è assicurato.
Ciò fa il paio con la riforma del catasto che prelude a una bella tassa sulla prima casa. Una bella manovra a tenaglia.
Capito come avviene un altro passaggio della predazione? Il risultato sarà per molti la svendita per poi cambiare le abitudine storiche consolidate del nostro popolo nel prediligere il mattone, per riporre i soldi rimasti nelle furbe speculazioni finanziarie dei pescecani di cui prima. Che sono sempre furbe per il gatto e la volte con l’albero degli zecchini d’oro, non per Pinocchio.
Il risultato sarà che i più grossi compreranno a quattro soldi le case e faranno plusvalenze feroce dopo averle messe “a norma”. Un ennesimo regalo fatto ai grandi rentier di fondi e turbofinanza che in Italia segnerebbe la fine di quel salario messo al sicuro da migliaia di riaparmiatori che in decenni di lavoro hanno messo il frutto del sudore nel mattone con prime e seconde case.
Dunque il futuro non è fatto di classi medie che hanno raggiunto un buon grado di benessere anche grazie a un welfare garantito per tutti e a piccole proprietà che consentono una vita più sicura e beni rifugio per ogni evenienza. Tutto sarà all’insegna della precarietà e del ricatto, per cui la spoliazione non è solo trasferimento ben studiato di ricchezza sociale dal basso verso l’alto, ma è controllo sociale su soggetti che non avranno più alcun salvagente e quindi saranno diventati sudditi ricattabili e disposti a tutto.
Questo è il risultato della forbice sempre più divaricata tra ricchezza e povertà. Una massa nella sussistenza, senza quei diritti da citoyen garantiti anche dalle piccole proprietà acquisite nel lavoro e di generazione in generazione. Questo fatto viene ovviamente glissato dai campioni del “collettivismo” forzato, che non vedono né questa composizione di classe pur blaterando di questa da anni e anni, né le ricadute di questa politica di massacro, circoscrivendo la loro attenzione al puro ambito del salariato in affitto. Una visione arcaica di proletariato che ha resistito a ogni proponimento di rifondare una teoria e una prassi comuniste. Un “collettivismo” che non vede come l’attacco al citoyen chiude la strada anche a una rivoluzione socialista, che non sia il surrogato che tanto decantano come quello cinese, dove al posto di una classe di privati monopolisti ne abbiamo una mista tra burocrazie di stato e di partito e tycoon asiatici.
La vicenda sui vaccini è molto eloquente nell’illustrare questa miopia politica che parla di giustizia sociale in modo ristretto e astratto. E solo a casa nostra.
Post Scriptum
Enclosures del terzo millennio
Ciò che ho descritto qui sopra rientra nel processo di concentrazione dei capitali e di riassetto delle filiere che il capitalismo occidentale, le sue oligarchie, think tank, lobbies stanno mettendo in opera di fronte alla competizione globale, a una guerra per la spartizione di mercati, profitti, risorse. L’esigenza dunque è quella di avere un vasto serbatoio di manodopera a basso costo, precaria, desalarizzata. Una tendenza che sta andando avanti da decenni, con l’inaugurazione della reaganomics e del tatcherismo.
Ma con la svolta pandemica questa tendenza ha sviluppato una torsione autoritaria: quella che molti chiamano grande reset e su cui poi su tutto il piano Schwab nutro seri dubbi, poiché l’individuo, transumanizzato o meno, ma totalmente asservito e servito fa un po’ a cazzotti con la teoria marxiana del valore, in pratica con le ferree leggi della caduta tendenziale del saggio di profitto.
Diciamo invece che la scommessa è quella di avere un sempre più sterminato esercito industriale di riserva per aggredire i mercati in generale facendo concorrenza alla Cina e ad altre potenze economiche come le tigri asiatiche.
Ecco dunque che si innervano in tutto il tessuto produttivo le enclosures del terzo millennio. E ciò avviene nella chiusura delle attività o nella loro subordinazione in franchising o meno di filiera produttiva o commerciale, nel controllo delle economie di scala e dei costi di produzione, così come dei prezzi al consumo, nel controllo del lavoro subordinato del suo costo grazie all’eccedenza produttiva. Chiudere possibilità di esistenza economica alle piccole e medie aziende manifatturiere e commerciali sembra un strategia fatta apposta per l’Italia, la cui spina dorsale imprenditoriale è fatta di PMI.
Chiudere finanziamenti, possibilità di mercato, modalità commerciali inibite dalla gestione pandemica, è di fatto enclosures per predazione e fascismo economico liberista solo per chi è libero di transare, spostare masse di capitali, investire e reinvestire a seconda della convenienza. E’ il mondo dei fondi d’investimento e delle multinazionali. Noi non lo vediamo, ma il nostro paese è un enorme campo di battaglia dove si scontrano capitali a diversa partecipazione finanziaria: tedeschi, francesi, cinesi, statunitensi, misti. Quelli nostrani in confronto sono i manzoniani vasi di coccio tra quelli di ferro. E in questa battaglia gli agnelli sacrificali non sono solo i settori popolari e proletari, ma quella parte di borghesia capitalista che conserva nella manifattura autoctona, ossia nel territorio la sua ragione d’esistere: i piccoli, perché chi ha le spalle un po’ più larghe delocalizza, finaziarizza i suoi capitali verso asset più redditizi, verso fondi, bond, futures.
Se guardiamo allo scontro sociale in atto, vaccini o no, green pass o meno, la questione è tutta qui. A Draghi “qualcuno! ha dato in mano il bazooka che completa l’opera “grazie” a un recovery fund, un PNRR che stravolgerà ulteriormente i rapporti di forza nel paese tra frazioni borghesi, di capitale. Proletariato non pervenuto: non è certo in quelle poche centinaia di volonterosi, che pensano di essere leninisti, che fanno qualche sfilata e occupazione ogni tanto, si prendono qualche legnata, ma ignorano il punto focale dello scontro sociale.
Ecco perché è necessario stare bene attenti a una massa che diviene mvimento di rivolta contro le coercizioni pandemiche. E chi non lo vede, riducendo il tutto a vax e no vax, è affetto da cretinismo politico.
La strada del socialismo non passa per la Cina, per uno dei contendenti in questa guerra economica tra capitali. Non passa neppure per un’autoreferenzialità di cortile che riflette l’autoreferenzialità di un soggetto proletario che nelle vecchie composizioni di classe non esiste nemmeno più.
La strada per il socialismo passa per la sconfitta dei progetti totalitari di un supercapitalismo che ha completamente divorziato dalla sua stessa democrazia borghese, passa dai territori di riferimento pur senza scadere nel nazionalismo delle borghesie sovraniste, pronte a orbanizzare la società per farci cadere dalla padella alla brace. Parte dall’abbattimento delle enclosures del terzo millennio liberando energie sociali, autonomia popolare, rompendo gli steccati di mercati sempre più a misura del sistema economico-politico e in definitiva biopolitico delle multinazionali secondo finanza. Dalle comunità di territorio ai medici che curano in rete i malati di covid, dai mercatini clandestini ai boicottaggi organizzati dei grandi brand e della gdo, ad altre forme che un’intelligenza collettiva può inventare per restare umani e far sopravvivere chi vive del suo lavoro, della sua terra e della sua officina.
Questa è Resistenza, insieme alla difesa dei diritti sociali, del welfare pubblico, dei salari, dell’occupazione. La Rivoluzione d’Ottobe non sarebbe mai stata fatta senza le rivoluzioni borghesi del ‘600 e del ‘700. Vogliono distruggere il citoyen? Se ciò accade non esisterà più neppure il compagno. Ecco perché ogni concessione con la scusa della scienza (neutra) e del covid alle misure liberticide e antiumane di questo capitalismo senz’anima è una capitolazione, un passaggio armi e bagagli al nemico di classe.
Forse occorre un’altra inchiesta per capire per bene “dove sono i nostri”, invece di fare tanta demagogia da eterni esterni.