Tra tre giorni è il 43° anniversario dell’assassinio di Francesco Lorusso a opera dei carabinieri, in via Mascarella a Bologna. L’episodio avvenne durante una protesta all’università contro i mazzieri di Comunione e Liberazione, riuniti in assemblea. Da una foto si vede bene che alcuni di loro erano armati di bastoni.
L’uccisione dello studente di medicina di Lotta Continua, scatenò la giusta reazione del Movimento, con una rivolta sociale per le strade di Bologna e che vide l’arrivo di mezzi militari come le autoblindo nel centro storico, una militarizzazione che ricorda molto il ’68 a Praga. Del resto, i protagonisti di regime sono in parte molto simili. Il PCI di allora diede vita a una vera e propria caccia alle streghe e alla fase della solidarietà nazionale. Su questo i pcisti sono stati sempre molto più vicini a Noske, agli assassini di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, socialdemocratici, che a un vero partito comunista. Tra i più anticomunisti c’erano proprio i dirigenti del PCI, Pecchioli, Amedola, lo stesso Berlinguer, il sindacalista Luciano Lama, dopo aver portato il partito su posizioni collaborazioniste verso DC e Confindustria.
Non a caso era in Emilia che con il decentramento produttivo si iniziava ad avviare una ristrutturazione di fabbrica, con la nascita del “modello emiliano”, la scomposizione di classe a favore di rapide riconversioni produttive funzionali alle filiere del capitale industriale. PCI e sindacati furono in prima linea sia sul piano dei mutamenti compositivi del proletariato italiano nei cicli di produzione, che nelle politiche di redistribuzione del reddito e del comando capitalista sul lavoro, i “sacrifici”, che preludevano alla nascita del neoliberismo tatcheriano, ne spianavano la strada, ponevano le condizioni dell’attacco successivo alla scala mobile, all’ulteriore spezzatino contrattuale del pacchetto Treu. Tutto questo nel nome di un “interesse nazionale” che dovrebbe far riflettere quei compagni che hanno sposato il sovranismo populista come elemento primario e che nell’egemonia delle destre oggi ci farebbe cadere dalla padella alla brace.
In questo contesto, l’attacco revisionista del PCI al Movimento, alle diverse declinazioni di rivoluzione sociale collettivistica, quasi tutte di paradigma comunista, ortodosse o eretiche che fossero, è stato spietato e totale. Gli eventi di marzo e la retorica della “difesa delle istituzioni”, orientarono gran parte della base comunista di partito al fideismo statalista, al collaborazionismo con le altre forze di regime, quelle di governo, DC prima di tutto.
Un attacco totale fatto di delazione, questionari contro il “terrorismo”, teoremi della magistratura in quota PCI, clima di sospetto nei luoghi di lavoro, contesa violenta delle piazze.
Non è questa la sede per dare delle valutazioni politiche sulle diverse anime del Movimento di allora, includendo anche le organizzazioni combattenti. Di errori politici ce ne furono e anche gravi, ma ho sempre sostenuto che questo è un ambito di confronto che non riguarda gli avversari di classe, bensì quello che è l’antagonismo di classe e politico rivoluzionario di oggi. Una disamina che tra l’altro è stata già fatta ampiamente da chi ha avuto la capacità politica di un’uscita militante dai vari contesti di combattimento e lotta. Un portato di esperienze politiche e di lotta su cui l’autocritica ha fatto tesoro, facendola in parte vivere nelle lotte e nelle organizzazioni comuniste di oggi.
Ma su due punti vorrei soffermarmi in questo anniversario, per celebrare la vita stroncata di un compagno che non ha potuto diventare medico e magari essere attivo in questi giorni di emergenza, portato via dal piombo democristiano con la complicità dei revisionisti del PCI.
La prima è che nessuno si deve azzardare un recupero politico in chiave statalista o di partito di quello che è stato il Movimento, la vita di Francesco, le esperienze autogestionali come Radio Alice. Nessuno. Nessuno deve dire: sì, però era positivo tutto quello che faceva costume, che ha innovato questo e quello e che oggi può “vivere” in qualche festicciola alternativa che attira tanti giovani, che poi ci votano il Bonamerda o il Merocazzo di turno.
L’esperienza fu interna a una guerra civile a bassa intensità, fu conflitto irriducibile contro lo stato classista e sia contro la DC che contro il PCI, punto e basta.
La seconda è che nessuno si deve azzardare, magari proprio per questa “nuova” visione di cui sopra (che chissà mai portasse qualche vantaggio personale o microcollettivo), magari un po’ pseodolibertaria e magari anche fricchettona, di dividere il Movimento tra “buoni e cattivi”. Al funerale di Barbara “Carla” c’eravamo tutti, nei giorni del fuoco di marzo c’eravamo tutti. Le scelte, le pratiche e le organizzazioni dell’epoca sono state discusse e devono continuare a discutersi solo nell’ambito di chi pratica e organizza lotta di classe, punto e basta.
Oggi peggio di ieri la macchina repressiva dell’emergenza permanente, braccio militare e culturale mediatico di regime, descrive l’oppressione capitalistica perdurante. Le linee non sono rotte, La lotta continua.
Pugno alzato per Francesco!