Questioni ideologiche

Questioni ideologiche

Riporto questo articolo di Xi Jinping uscito ieri sul L’Antiplomatico, che conferma quanto ho avuto modo di analizzare in un mio controbuto apparso si Carmilla e ripreso da Sinistrainrete poche settimane or sono.

Non starò a ripetermi in queste sede e in estrema sintesi, mi limito a ribadire che quello cinese non è socialismo, ma nell’ambito di un processo internazionale multipolare occorre sostenere tutte le forze e i paesi che vanno in quella direzione e che di fatto contribuiscono al declino storico e generale dell’imperialismo atlantista, USA e suoi vassalli, punto.

Il contributo del timoniere del PCC e della Cina in buona sostanza è una conferma esplicita e adamantina di quanto sostengo, ossia che quello cinese è uno pseudo-marxismo e lo è di facciata anche sul piano ideologico, poiché, uscendo dal campo analitico maoista: quello delle contraddizioni, finisce con l’abbracciare, con la scusa della cultura millenaria cinese, l’ideologia confuciana della società armoniosa.

Pertanto, il mio giudizio su una possibile e in futuro necessaria alleanza e cooperazione con la Cina non riguarda il marxismo (il PCC faccia del resto la sua strada con le sue caratteristiche specifiche e la sua visione del marxismo) bensì la sua posizione economico-politica a livello internazionale, nel processo multipolare. Un po’ di sano pragmatismo non guasta, senza inventarsi nuovi papà come orfani dell’URSS. Come comunisti italiani occorre che troviamo noi nuove vie al socialismo, nei modi e nei tempi e in base ovviamente alla situazione concreta.

Tuttavia la questione ideologica che Xi Jinping pone, il popolo al centro, la nazione, la cooperazione tra i popoli e via dicendo, è un aspetto da non sottovalutare soprattutto per il cambio di passo ideologico che abbiamo avuto qui in Occidente, nel blocco atlantista. Non v’è dubbio che il capitalismo cinese non sia come quello del capitalismo occidentale, da secoli colonialista e neocolonialista, predatore, con un falsa coscienza che permea per l’acquiescenza delle proprie masse popolari, che copre la sua natura sfruttatrice e di rapina verso gli altri popoli, a partire da quelli del terzo e quarto mondo.

L’ideologia con la quale abbiamo visto la nascita dei BRICS è l’espressione di ciò che i BRICS fanno: paesi capitalisti che si relazionano tra loro e con il resto del mondo con un principio cardine: la coesistenza pacifica e la reciprocità dei rapporti tra paesi. Non entro nel merito, come comunista, del fatto che tali capitalismi abbiano tutte le contraddizioni sociali, tra capitale e lavoro che il capitalismo come sistema ha in sé e che può essere risolto solo dalla rivoluzione socialista.

Cosa ben diversa in Occidente, dove il passaggio politico epocale segnato dal declino a stelle strisce e da un proporzionale aggressivismo di risposta che ha portato all’attuale fase di guerra imperialista mondiale, segna anche un cambio di passo sul piano ideologico: paesi usciti dalla Seconda Guerra Mondiale, dopo la narrazione e antifascista di necessità storica nel contrastare il nazi-fascismo e che, unitamente alla fase welfariana e keynesiana di ricostruzione economica, poneva i sistemi capitalistici come “baluardi” della democrazia associata al liberalismo, oggi accantonano i valori costitutivi delle costituzioni antifasciste occidentali non solo sul piano economico, di democrazia economica (da decenni a questa parte, dall’avvio del tatcherismo e della reaganomics), quindi del bene supremo della pace, per affermare la necessità della guerra.

Non è cosa da poco. La manfrina è sempre la stessa e nel periodo di Hitler e Mussolini poteva trovare pure una sua foglia di fico (la Seconda Guerra Mondiale è stata comunque una guerra tra imperialismi), che trovava giustificazione nella barbarie nazista, nel totalitarismo di tali regimi nazisti e fascisti. Oggi non è un caso che Putin venga paragonato a Hitler, perché lo schema ideologico e comunicativo è il medesimo di allora, ma con la differenza che ciò non si regge su alcun espansionismo russo, ma semmai su quello NATO e di USA-UE, attraverso meccanismi di propaganda bellica basati su un cumulo di falsità e sul ribaltamento totale della questione in atto: la Russia si difende a seguito di un allargamento militarista e est della NATO e il suo è sì un conflitto esistenziale.

Ecco, lo scritto di Xi Jinping mi ha colpito perché è l’esatto opposto della narrazione occidentale, ormai incancrenitasi sulla necessità della guerra. Questa è una ragione per la quale, occorre sostenere il multipolarismo anche sul piano ideologico, senza tirare in ballo però il socialismo, poiché nei vari paesi, al netto delle esperienze bolivariane del Sud America e di Cuba se ne vede assai poco o punto nulla. Sostenerlo in questo denominatore comune fondativo, poi è chiaro del differenze ideologiche, statuali, di sistema economico, religiose, da paese a paese, sono abissali.

Senza che le opinioni pubbliche addormentate se ne siano rese conto, questo cambio di passo militarista, questo scarto dalla pace alla guerra come valore attuale su cui si poggia persino l’identità stessa dell’Unione Europea, oltre ovviamente alla sua direttrice di marcia in politica internazionale, è la cartina di tornasole anche per ciò che accade nei paesi stessi interessati da questo bellicismo: sottrazione di sovranità a favore di istituzione sovranazionali espressione delle élite anglosassoni e borghesie imperialiste continentali subordinate a esse, economia di guerra, affermazione definitiva del TINA (there is not alternative) neoliberista, anche nel destinare fondi negati alle politiche sociali e di welfare al warfare, al riarmo NATO, anche nella versione più europeista di esercito UE.

Un progetto delirante che, oltre che poggiarsi su una narrazione del tutto rovesciata e a solo vantaggio degli USA (vedi il vassallaggio europeo, la distruzione del Nord Stream, ecc.), non ha neppure le gambe su cui marciare all’interno dei propri stessi paesi (1). Un’ideologia debole che non è neppure seguita dalla maggioranza della popolazione in Italia come in Europa. Simili criminali di stato e di guerra, nella loro lucida follia e demenza politica, possono solo portarci a un nuovo conflitto nel continente, se non mondiale.

L’ideologia debole del bellicismo occidentale è una forzatura storica e politica. Vediamo di fare un salto indietro di 80 e passa anni, per comprendere meglio il delirio vigente. Molto semplice: in questo incipit bellico attuale non esiste tutta l’adesione ideologica ed entusiastica all’entrata in guerra dell’Italia nel ’40, che riempiva piazza Venezia sotto il balcone da cui si affacciava il mascellone. A Ventotene, in confronto, c’erano quattro gatti. L’adesione alla guerra c’era, perché c’era adesione al fascismo. La componente ideologica era forte e ha consentito al gruppo dirigente fascista di condurci alla catastrofe bellica.

Nel nostro caso, al netto della propaganda martellante pro NATO e per la sua guerra spacciata per difesa dal “nuovo Hitler”, non esiste alcuna ideologia di massa e relativa fanatica adesione. I sondaggi confermano che la maggioranza di italiani ed europei non ne vuole mezza di questa guerra. E se tanto mi dà tanto, se con la pandemia una buona parte della popolazione è scesa in piazza, non si è punturata ed è uscita fuori di casa alla faccia dei carabinieri, figuriamoci in una situazione portata a mille volte tanto, sul campo e nella vita quotidiana.
Oggi non c’è nemmeno l’ideologia opposta e diciamolo: alla gente non gliene frega nulla di andare in guerra e neppure di spendersi per la pace, poiché assuefatta da un quotidiano vivere che non na intravedere alcuna tempesta imminente, disabituata alle grandi battaglie sociali portate avanti negli anni sessanta e settanta dai e nei grandi partiti di massa. Una volta che ha preso lo smartphone al figlio, andata in palestra e comprato con il 3×2 alla coop, è a posto così, al di là di tutte le fanfaluche gruppettare soggettivistiche. Siamo realisti: ti possono anche tirare la pelle del culo in testa, ma il tuo bimbone dallo spritz sui navigli, con il fucilino nella steppa ammazzato dai droni, eh no, questo no.
Altro che sabati anti-pandemici! Non faremo il socialismo? Pazienza. Ma su queste contraddizioni che riguardano la sopravvivenza della specie, eh beh, si puote e si deve intervenire.
Poi i comunisti faranno quello che si puote fare per avvicinarsi un po’ a una società dove ci sia meno iniquità sociale, che, detto come va detto, ha molto a che fare con le cause della guerra, ma basta con le corbellerie fuori dal mondo e fuori contesto. Una volta tanto siamo realisti. La ricreazione di 80 anni è finita: ora si torna a giocare duro e con la fine dell’URSS e il carattere post-marxista dei movimenti di liberazione, la trasfigurazione dei movimenti operai  frutto  di un attacco capitalistico anche nella composizione di classe, in paesi come il nostro le classi lavoratrici non anno alcun ruolo e rappresentanza in questa guerra imminente: masticati e sputati fuori da decenni di neoliberismo e strapotere delle Tricontinental, Bildelberg e sinistre dem vendute.
Il lavoro è immane e il ritardo è incolmabile. Ma va detto che l’egemonia si inizia a costruire da pochi ed elementari concetti, non da inciuci con sinistre che hanno perso la loro funzione storica e politica, non con l’élitarismo minoritario, gruppettaro e le torri d’avorio autoreferenziali. L’ottobre sovietico non fu fatto facendo studiare alle masse la caduta tendenziale del saggio di profitto, ma urlando pane, basta guerra, pace, lavoro… E’ questa l’ideologia, non altro. E’ su questa che distingui l’amico dal nemico.
Ma oggi non siamo neppure lontanamente a questo. Oggi questa guerra non dipende dal conflitto borghesia/proletariato, non è la valorizzazione del capitale nelle sue crisi a determinare il conflitto. Del resto le dinamiche della valorizzazione, della sovrapproduzione fanno da sfondo alle politiche del capitalismo e certamente come accennato poc’anzi, l’iniquità e la predazione insite nel sistema capitalistico ci fanno capire che la pace liberale è stata una grande fanfaluca condita di piani Marshall e keynesismo che hanno rappresentato solo una fase dell’andamento capitalistico per cicli. Questa guerra è tutta intercapitalistica, mettiamocelo bene in mente, perché se si sbaglia analisi, si sbaglia anche modo di intervenire e strategia politica.
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NOTE:
1. Non parliamo poi del delirio verso il fronte stesso della guerra, a partire dal dato di fatto che la NATO per conto dell’Ucraina ha già perso sul campo e la cosa più logica sarebbe quella avviare con una tregua, una trattativa risolutiva basata sui rapporti di forza dati, per risparmiare ulteriori vite umane e mantenere qualcosa dell’Ucraina sul piano territoriale, ma anche come entità statuale. E invece il delirio prosegue alzando la posta e pensando a un estensione del medesimo a paesi NATO.