Sovranismo… che parola!

Sovranismo… che parola!

Da oggi la Gran Bretagna è uscita dall’Unione Europea e subito mi viene in mente l’immagine di Gene Wilder nel film di Mel Brooks Frankestein Junior, mentre alza gli occhi dai libri e urla: si può fare! Per cui, senza entrare nel merito dei più che solidi argomenti della sinistra anti-UE (di cui mi fregio di far parte) e a favore dell’ITALEXIT, oggi vorrei trattare il concetto di sovranismo e soprattutto tutto ciò che sta dietro quello che considero uno degli attacchi politici più forsennati dell’euroliberismo sul piano politico e culturale verso i “sovranisti”.Il sovranismo è indubbiamente insieme al populismo e al razzismo uno degli argomenti principi di certa destra: fascisti, rossobruni, legaioli e affini. Oggi per sovranista si intende appunto colui il quale vuole chiudere le frontiere ai migranti, staccarsi dall’Unione Europea, mettere dazi, tornare alla lira, e magari pure rimettere al centro i valori cristiani contro le orde barbariche di Maometto. Con o senza fascio littorio o svastica. Ma è davvero così? E’ questo il sovranismo?

Sono pigro e non ho tempo da perdere, per cui e non andrò a rispolverare i tanti testi da il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels e da tutta la saggistica e pubblicistica marxiana successiva che lega l’internazionalismo proletario alla questione nazionale. E non solo nelle rivoluzioni democratico-borghesi del terzo mondo. Mi sembra però un’ovvietà che se un comunista è per distruggere lo Stato classista del capitalismo, tanto più lo sarà nei confronti di un sovrastato che è la quintessenza dell’imperialismo continentale e che a differenza degli stati nazionali che nella seconda metà del Novecento hanno recepito nelle proprie costituzioni i valori della Resistenza antifascista e dell’emancipazione delle classi popolari, mette al centro banche, mercati, multinazionali e rendite. Perché la favoletta che accosta l’Unione Europea, questo mostro di Frankestein ritagliato su gli interessi di quei pezzi di borghesie dominanti nel continente, al manifesto di Altiero Spinelli, è in realtà una cazzata insostenibile.

Per cui chi era riformista prima, lo è di più oggi, non ci sono santi. Solo che prima, quando l’Italia era un paese a democrazia condizionata da stragi di stato, rumor di sciabole e strategie della tensione ma non ancora dentro la gabbia UE, la demagogia riformista se non altro ci snocciolava la necessità di conquiste sociali e sul lavoro. Poi dagli anni ’70 si è preparata la grande offensiva neoliberista del capitale, è arrivato negli anni ’80 il tatcherismo, fino all’ingresso dell’Italia in questo sistema gerarchizzato e iniquo, con regole funzionali alla rapina e all’usura sulle classi popolari e sui paesi più deboli e il riformismo non solo ha cambiato ritornello (vi ricordate la “politica dei sacrifici”? Ecco, quello è l’inizio del tradimento con un nuovo ritornello spacciato per richiamo agli interessi nazionali), ma proprio è passato armi e bagagli dalla parte della borghesia dominante continentale che andava formando l’architettura di trattati e vincoli che avrebbe gettato nell’impossibilità di azione politica anche solo campagne e lotte di rivendicazione sociale di diritti, salari, pensioni, di uno stato sociale.

Oggi dietro all’idea unitarista dell’Europa, dietro a questa demagogia ci sta il nulla, il vuoto pneumatico che separa gli interessi di pochi e la loro macchina di distruzione delle costituzioni, dei contratti nazionali, dei diritti sociali, del welfare pubblico nel nome delle privatizzazioni, delle liberalizzazioni, delle limitazioni degli interventi statali e quindi del profitto, dai diritti di tanti, la maggioranza, le maggioranze in ogni paese, a un lavoro stabile e a condizioni umane, a un reddito, a servizi essenziali, alle conquiste ottenute nella seconda metà del secolo scorso.

La domanda da porsi allora, sia per un rivoluzionario che per un riformatore onesto è la seguente: quali sono gli ostacoli politici e giuridici a una politica economica espansiva, che rimetta al centro bisogni, diritti, salari, qualità della vita? I vincoli dell’UE. E con loro i dispositivi di dominio che nessun popolo europeo ha stabilito, gli organismi che nessuno cittadino europeo ha eletto. Pertanto che la questione sia nazionale lo è nelle cose. Questo dunque è sovranismo? Sì, è sovranismo. Ma non quello falso, nazionalista, razzista, da egoismo da campanile delle destre. Bensì quello inclusivo, popolare e di classe, basato sulla solidarietà e l’internazionalismo di una sinistra che lotta per l’indipendenza del paese dai vincoli della gabbia economica europea così come da quelli militari della NATO e le sue politiche di guerra imperialista e aggressione dei popoli: dal Donbass al Medio Oriente, al Nord Africa. Un sovranismo che è quindi internazionalista e per la pace. Un sovranismo che vede nell’uscita dall’Unione Europea la possibilità di sviluppare una politica economica indipendente, ma soprattutto a favore delle classi popolari e non di borghesie orbaniane e salviniane che vogliono semplicemente sostituirsi alle oligarchie capitaliste continentali. Un sovranismo che nel contempo punta a creare uno spazio economico e geopolitico tra Mediterraneo ed Europa che introduca nella socializzzione dei mezzi di produzione, nelle nazionalizzazioni e nel controllo dello stato sull’economia ancora di mercato, elementi di socialismo e di internazionalismo tra i popoli.

Però non si può chiamare sovranismo. E sapete perché? Perché la macchina da guerra ideologica in capo al PD e alla sinistra euroriformista con la scusa di colpire Salvini, rossobruni e quant’altro, fa di tutta un’erba un fascio per colpire l’unica ipotesi politica che possa rilanciare un’autentica sinistra rappresentante delle classi popolari, rivoluzionaria per il Socialismo: la sinistra anti-UE, di fatto veramente sovranista. Nelle operazioni dalle più sofisticate come quelle delle Sardine a quelle di piccolo cabotaggio, da utili idioti, come certi gruppi sui social, questo attacco è evidente. Ci sono argomenti che non si possono toccare, pena: l’accusa di rossobrunismo salvinista.

Le elezioni emiliano-romagnole, hanno evidenziato questa dicotomia a sinistra. Ma di fatto sono ancora molti a sinistra che si fanno menare per il naso da una Schlein che usa argomenti roboanti dall’ecologia al lavoro per sostenere il nulla di regime. Perché nulla cambierà. E l’autoritarismo europeista, il peggiore, quello delle borghesie dominanti, proseguirà in Emilia-Romagna come altrove proprio grazie all’ottima campagna babau sul “fascismo alle porte” e ai vari lacché come la Schlein. Sulla caduta anche di questa regione, davanti alla crescita dati alla mano delle destre, si può solo dire che sia questione di tempo, perché nessuna politica in controtendenza a quelle imposte sinora è prevista e tutto proseguirà nella completa macelleria sociale nel paese, con un’arma in più data a Bruxelles: il MES.

Sul terreno del sovranismo inteso come lotta di classe contro i poteri forti imperialisti continentali e delle nostre lobbies capitaliste loro asservite c’è ancora tanto da fare. La questione nazionale è la questione della sovranità popolare nel nostro paese, dell’affermazione di quei principi costituzionali da sempre calpestati dalle classi dominanti e dai loro ceti politici. Ma questa questione ha carattere di classe, ossia: chi ha l’egemonia in un processo politico e sociale di ITALEXIT? Nella BREXIT, i ceti dominanti della borghesia inglese hanno saputo trascinare con loro gran parte delle classi popolari e questo è stato il grande errore del Labour di Jeremy Corbyn, che sulla questione ha glissato se non parteggiando per un remain, confidando nel proprio pur buon programma di riforme sociali strutturali.

Mentre le destre avanzano, pur avendo perso una battaglia importante come quella emiliano-romagnola, gli euroliberisti fanno terra bruciata nei confronti di ogni politica che dal basso e dalle organizzazioni della sinistra di classe metta in discussione il grande ordine costituito. Nel piano PD-neoliberista c’è il sociale, rappresentanto da quelle Sardine i cui soggetti dirigenti appaltano il servizio d’ordine delle manifestazioni alla CGIL, allontanano le bandiere rosse e incontrano Toscani e Benetton alla faccia delle vittime del ponte Morandi, delle operaie morte bruciate in Bangladesh e degli indigeni Mapuche massacrati perché difendono le loro terre. E c’è il politico: mantenere in sella quella classe politica che è l’unica garanzia per i comitati d’affari che sono gli unici a guadagnarci sulla configurazione economica imposta dalla UE, quelli delle grandi opere come la TAV.

La lotta per la rottura dei trattati UE è allora lotta per la rottura con questo quadro politico che ci darà ancora più massacro sociale e controriforme. Rimettere al centro il paese e di questo le classi popolari, il proletariato, è il solo sovranismo possibile. Dobbiamo prenderci questo spazio politico.