Sovranisti e negazionisti

Sovranisti e negazionisti

Ieri a Roma si è visto di tutto e di più. A parte la manifestazione fascista di Pappalardo e Forza Nuova alla Bocca della Verità, l’assembramento in piazza San Giovanni è stata una vera e propria accozzaglia di complottosti di ogni risma: dai negazionisti del covid no mask ai no vax della Cunial, ai no 5G, più una congerie di microforze sovraniste con rivendicazioni costituzionaliste a puro vantaggio delle piccole imprese, attraverso la solita retorica del lavoro.

Purtroppo c’è da dire che manifestazioni di questo tipo screditano quella che dovrebbe essere una vera ITALEXIT, ossia un’uscita dell’Italia dall’UE e dall’Eurozona. L’imbecillità di personaggi come Moreno Pasquinelli nel suo lungo percorso politico sin dal Campo Antimperialista, rasenta il delirio nel rappresentare un fronte popolare che non esiste e spacciarlo per società civile, nel fare il mea culpa sul “dottrinarismo” e gli “errori” della sinistra rivoluzionaria (di cui lui si fregia per provenienza) riproponendo di fatto una “cosa nuova”, né destra né sinistra, alla Grillo, quando parlava con i “ragazzi di Casapound”.

Quello andato in piazza ieri è un esploso di diversità che non c’azzeccano le une con le altre, ma con vasti toni di rossobrunismo. Agli ex compagni che pensano che l’Italia possa liberarsi dall’UE con un atto unilaterale e con un programma sostanzialmente nazional-popolare, leggi borghese, do una notizia, anzi due:

  • la prima è che l’ITALEXIT ha senso e si realizza se è rottura con il campo della borghesia imperialista e della borghesia in generale, comprendendo il conflitto anche verso quei ceti medi “defraudati” che non vedono l’ora di avere voce in capitolo sugli spezzatini salariali e contrattuali sulla forza-lavoro, la gestione della “flessibilità” operaia, e che guardano più al sovranismo alla Orban che a quello antimperialista. Dunque si tratta di favorire e orientare un processo rivoluzionario dove la direzione e la centralità sono della classe proletaria e non di questi bambocci, spesso liberi professionisti insoddisfatti, che stanno scaldando i motori per divenire nuova classe dirigente. L’antiliberismo di questi gruppi non è  né antiliberismo, né anticapitalismo, non mette all’ordine del giorno l’attacco al capitalismo in sé, è al contrario l’idealizzazione di un frontismo nazionalista molto pericoloso e manipolabile da chi il nazionalista lo sa fare e bene: la destra fascista.
  • la seconda è che un processo rivoluzionario di tale portata o è sovranazionale, dunque concretamente internazionalista, ossia riguarda la lotta di classe e il conflitto sociale in più paesi, dell’area euro-mediterranea in particolare, si basa su una saldatura politica e di progetto organica tra avanguardie e movimenti di detti paesi, oppure è destinata a essere stroncata come accaduto in Grecia nel 2015 o come la lunga lotta dei Gilet Jaunes in Francia. Se andiamo a leggere qualsiasi manuale insurrezionale comunista (suggerisco il Frignano, Teoria della guerra di popolo, ed. Librirossi), il ruolo delle riserve strategiche è decisivo per ogni rivoluzione. In questo caso a livello di opinioni pubbliche e di mobilitazioni coordinate e corrispondenti, ogni paese fa da riserva strategica degli altri e si crea un contesto comune che fa da volano a una rivolta sociale generalizzata.

Le avanguardie politiche devono lavorare a questa prospettiva, lungo questo asse strategico anche se oggi (e a maggior ragione) la fase è del tutto sfavorevole, insignificante è il livello di coscienza politica, inesistente è la consapevolezza della propria identità di classe e del nemico che si ha davanti. Per dirla alla Gramsci, va costruita l’egemonia, va realizzato quel blocco storico attraverso le lotte operaie e sociali e un lavoro politico “per linee interne” che fanno crescere forza di massa, organizzazione autonoma e consenso diffuso nella società, inziando a minare i rapporti di forza dati tra classi, il potere classista della borghesia. E’ un lavoro di lunga lena, difficoltoso che necessita pazienza e non certo scorciatoie liquidazioniste di valori, progetti, identità.

Non si è mai vista in alcun documento teorico politico, in alcun autore e dirigente rivoluzionario marxista da Mao a Giap, da Castro a Guevara, da Corvalan a Enriquez una concezione politica comunista basata sul patriottismo puro, ossia sulla subalternità politica dei comunisti e delle classi proletarie e bracciantili delle campagne alla borghesia nazionale. La sovranità nazionale si è sempre basata sul potere delle masse popolari a centralità operaia o più in generale salariata. Parlate pure di patria se la cosa può servire tatticamente, ma non buttate alle ortiche la lotta di classe che si eprime nella contraddizione principale, quella tra capitale e lavoro. Dunque saldandola con il movimento di classe e la prospettiva socialista nelle metropoli imperialiste. Oltretutto non c’è una borghesia nazionale e un proletariato in formazione come in qualunque paese bananiero del terzo Mondo: avete sbagliato film.

Per questo la distanza con questi neopatriottici di fatto rossobruni, oltretutto con una visione dei flussi migratori discriminatoria, è per me abissale.