Fa incazzare stamattina vedere all’opera i tg di regime per incensare le centinaia di migliaia di giovani scesi in piazza in 180 città italiane per Friday for Future: la grande mobilitazione mondiale contro il disastro ambientale. In realtà per mostrare la visione del mondo dei loro padroni: gruppi finanziari dell’oligarchia capitalista. Ci hanno riempito di cartelli e interviste di bambinetti che dicono che non si può andare avanti così, che il riscaldamento climatico è un’emergenza, ma ovviamente nessun ragionamento che va alla radice del problema: il modo di produzione capitalistico e e il suo modo di consumo.
Ma il movimento non è solo questo. La verità è che all’interno di un’onda protestataria iniziata con Greta Thunberg, si stanno sviluppando coscienze critiche anticapitaliste. Questo movimento verrà utilizzato per il classico green washing di istituzioni e aziende: un po’ di giardinaggio per far vedere che si fa qualcosa. E già la finanza, i governi e le industrie stanno aprendo asset ecologici, fondi verranno destinati alle produzioni “virtuose” in una sorta di welfare ambientalista. L’ecofare. Profitti e disattivazione di una bomba sociale mondiale, di nuove generazioni che non sono più disposte a farsi distruggere il futuro.
Il “fabbrichismo” della sinistra si deve misurare con la questione fondamentale: le forze produttive della società e le risorse del pianeta non sono infinite e anche il marxismo deve essere in grado di ridefinire il suo paradigma economico e sociale. Essere dentro questo movimento non significa solo lavorare politicamente per orientarlo in senso anticapitalista e far nascere organizzazione comunista e di classe dal basso, rafforzare e costruire un fronte di classe al di là degli esiti e dei destini della globalità del movimento stesso (che è tante cose). Bensì significa andare a mettere in discussione il modello di società e di economia del capitalismo, declinando il socialismo possibile su modelli di riproduzione sociale egualitari sì, ma anche in armonia con l’ecosistema. La riappropriazione dei mezzi di produzione non basta, questo stiamo iniziando a capre. In America latina i movimenti indios bolivariani l’hanno già compreso da tempo. Patchamama è anche qui, non solo sulle Ande o in Amazzonia.
Detto questo però è patetico vedere che gli argomenti utilizzati contro questo movimento dai media più reazionari, come il Giornale per fare un esempio, sono esattamente i medesimi di certi “compagni” che si riempiono la bocco di sovranità, ma poi parlano di complotto imperialista ben congegnato dal Soros di turno, e non capiscono che non esiste sovranità dei mezzi di produzione, del popolo nei suoi istituti di potere e decisione senza sovranità sul territorio, sull’ambiente, sull’alimentazione, sulla salute. Ce lo sta insegnando da decenni il movimento antagonista più longevo dal dopoguerra a oggi: il Movimento No Tav. Se l’ecologismo senza lotta di classe è giardinaggio, al contrario la lotta di classe senza temi ambientali che investono radicalmente i modelli di produzione e consumo del capitalismo è liberazione a metà, spanata, che gira su se stessa in un ciclo accumulazione e crescita che non si ferma, che si crede infinito.
La lotta per la sovranità ambientale versus la corsa dissennata alla distruzione dell’ecosistema per il profitto, è ciò che deve emergere nei suoi contenuti in questo movimento che è comunque un momento storico della lotta di classe. Va battuta ed espunta da esso la visione interclassista, le logiche superficiali di chi pensa che basti fare la raccolta differenziata per cambiare il mondo, va fatta crescere coscienza anticapitalista, identità di classe dentro la consapevolezza che questo mondo è malato non solo sul piano sociale, nell’aumento delle differenze sociali, della precarietà, ma anche sul piano del veleno dell’inquinamento e degli squilibri che stanno devastando il pianeta, e che la precarietà della vita è globale. Quanti amici si stanno ammalando di cancro? Ho fatto un po’ di conti: siamo a uno su tre. Un costo per la sanità che diviene profitto per big pharma. Ed è solo un esempio su come si sviluppi la catena del valore del capitale dall’inquinamento alla gestione sociale e sanitaria delle sue conseguenze.
Friday for Future non è un fenomeno teleguidato: è una variante sociale, un fenomeno che può sfuggire al controllo, alle recinzioni ideologiche e politiche del sistema di potere capitalista. Quando inizi a mettere in discussione un modello globale di società e lo fai come grande massa di generazioni, certamente sino a ieri cresciute sulla raccolta dei rifiuti sulle spiagge, ma che oggi si stanno riconoscendo e soggettivando sul tema dell’ecosistema, non si sa dove poi si va a finire, cosa lascerà questa ondata. Molto sta in noi. Perché oggi più di ieri è possibile parlare con questi giovani e interessarli alle contraddizioni del sistema nel suo insieme, che non è solo distruzione del pianeta, ma anche di chi ci abita. Che sono anche contraddizioni sociali e del lavoro.