Un anno di svolta

Un anno di svolta

Questo per me è stato un anno in cui sono accadute delle cose che mi hanno portato a scelte radicali che non avrei mai pensato di prendere. Non tedierò nessuno con i miei problemi personali: mi riferisco al piano inclinato della politica e del campo di appartenenza: il primo più che inclinato è diventato una parete di sesto grado, mentre il secondo non esiste più, completamente sparigliato dal cigno nero della pandemia.

In questo marasma ovviamente sono entrate anche le amicizie o presunte tali. Ringrazio i compagni amici che preferiscono il silenzio nei miei confronti: qualcuno paraculo per non sputtanarsi (lo capisco), qualcun altro nella speranza da me condivisa e reciproca che un giorno si riuscirà a riunirsi ancora. Ai cretini che hanno definito le mie scelte politiche come un favore ai fasci, dico solo che possono andarsene a fare in culo e che non hanno capito proprio nulla.

A fine anno è il momento anche di buttare via il vecchio e i cretini ne fanno parte a pieno titolo. Soprattutto gli spocchiosi, quelli che sono anni che leniscono le loro frustrazioni di falliti (così in cuor loro si sentono) trattandomi come un tamburo da suonare. Non sono più disposto a tollerare con l’accondiscendenza della comprensione amicale. Che si fottano.

A tutti coloro che hanno accettato questo stato di cose continuando a fare i pesci in barile, tra una gita all’ennesimo presidio operaio e un’occupazione, dico solo che non sono queste le cose bastanti a fare lotta politica rivoluzionaria. E che tutto ciò che si fa se non va a sintesi sulla contraddizione principale con il capitale e i suoi apparati cogliendo la portata del suo attacco, se non si sta nei movimenti reali che nascono da questo attacco, tutto ciò che si fa è solo perdita di tempo. Lodevole, ma perdita di tempo e di energie.

Ai filocinesi che quest’anno hanno avviato una realpolitik di adesione al denghismo riproposto con il xijinpighismo, dico invece che non hanno fatto i conti veramente con i limiti e le storture del socialismo novecentesco e che non ci sono piccoli padri e grandi mamme. Posso capire le alleanze tattiche, ma le rivalutazioni di un sistema peggiore anche del socialismoreale sovietico com’è quello cinese, spacciandolo per socialismo “originale” proprio no. Se il socialismo novecentesco aveva torsioni liberticide buttando alle ortiche la democrazia socialista e sovietica sotto la spinta di un conflitto perenne contro le forze economiche e politiche dell’imperialismo, la questione cinese è un bel po’ diversa. Lì non c’è più nemmeno il capitalismo di stato, ma un regime burocratico che di comunista ha solo il nome che vede al potere una borghesia di stato insieme a gruppi della finanza e multinazionali ben integrati con le filiere internazionali del capitalismo occidentale e con il sistema bancario e di borsa.

Del resto proprio queste due scelte revisioniste: l’adesione alle logiche e al piano reazionario e fascista della gestione pandemica del capitale multinazionale e la scelta di campo cinese, mi hanno portato ad allontanarmi dal contesto politico in cui mi riconoscevo. Proprio perché sono un comunista. E sottolineo: non sono mai stato facile a quelle scissioni e diaspore tipiche dei partitelli dottrinari, ma qui era emersa un’incompatibilità che non investe solo la politica, ma anche la visione stessa del socialismo.

Il socialismo per me non è solo centralità di un apparato come uno stato, messo in alternativa ai poteri economici e finanziari della grande borghesia. E’ prima di tutto democrazia diretta e dal basso, consiliarismo. Riprendo e aderisco alle riflessioni di Lukacs sull’essere proprio così del socialismo, sull’ontologia della democrazia socialista, senza prendere a giustificazione delle degenerazioni lo scontro con l’avversario capitalista. Il capitalismo vince anche quando la sua azione produce una torsione autoritaria e la formazione di agglomerati di potere che diventano nuova borghesia burocratica uccidendo la democrazia socialista stessa. Solo un idiota che non ha compreso Marx può pensare che il sistema socialista si caratterizzi solo per l fine o il ridimensionamento della proprietà giuridica dei mezzi della riproduzione sociale. Quando invece è il comando su questi, la loro gestione in funzione del valore di scambio e dei profitti (pibblici o privati che siano) a caratterizzare come borghese o comunque non operaia la classe al potere.

E’ tempo di dare una svolta alla politica rivoluzionaria. Mi diceva un compagno che ha senso battersi per una società migliore se l’aspirazione che ci poniamo è quella della felicità collettiva. Non c’è felicità nel collettivismo forzato, nel dato economico che qualifica come socialista un sistema, nello spacciare per magnifiche sorti progressive una galera a cielo aperto.

Io sono anche disposto a un periodo di guerra civile, dittatura proletaria per schiacciare le forze reazionarie del capitale, lo capisco e sono anche un esegeta del socialismo da caserma se occorre e quando occorre. Ma poi basta. Se ci sono fasi in cui tutto questo è necessario, non deve però diventare la regola. Non possiamo perdere la nostra umanità, che poi è parte del nostro essere comunisti. Costoro sono comunisti a metà un po’ come i buddisti nichirenisti, che ti dicono che non è l’amore a muovere il praticante ma la fede, la cosiddetta legge mistica. Ecco, i revisionisti di oggi sono come i mistici, il loro approccio alla scienza è religioso, come quella ex candidata romana di Potere al Popolo che continua a ripetere come in un mantra “vaccinatevi”. Mentre lo Stato, ben due governi, hanno provocato migliaia di morti con “tachipirina e vigile attesa” bloccando ogni altro approccio terapeutico per favorire questi sieri, insieme a zero investimenti in personale sanitario e presidi ambulatoriali territoriali, trasporti pubblici e via dicendo.

C’è più socialismo nelle comuni hippy che nel politburo del PCC. E’ la nostra storia di ’77ini, quando sul PCI ci pisciavamo e a ben ragione. Ma questo è un male che ritorna e spesso proprio dove non te lo aspetti. Noi siamo stati anarchici e brigatisti, volevamo un liberazione globale e al tempo stesso per realizzarla costruire un partito di combattenti inossidabile, con le prigioni del popolo. Mao e Debord, Lenin e Rostagno. Io non rinnego nulla: né della guerra, né della festa. Questa è l’essenza della Comune, di un potere costituente che destituisce il potere dello sfruttamento. Ciò non significa non comprendere le fasi, le mediazioni, le alleanze. Ma non significa neppure vendere l’anima al diavolo prendendo il lato più volgare del machiavellismo.

Ecco, il nuovo anno deve essere un anno di svolta, pur mantenendo salde le mie convinzioni. Non sono orfano di nessuno. E sarebbe peggio se lo fossi della mia coscienza.