In questi giorni in cui siamo bombardati dalle immagini rindondanti della piazze bielorussie per l’ennesima “rivoluzione” colorata targata Unione Europea-USA-NATO, ricompaiono gli idioti antimperialisti a parole, ma portatori di palla dell’Occidente, già visti all’opera sei anni fa con Euro Maidan.
A piazza Maidan a Kiev, mentre squadre neonaziste lanciavano bombe di fuoco (i cosiddetti manifestanti pacifici per i nostri media) contro la polizia e cecchini sparavano un po’ di qua e un po’ di là da uno degli hotel prospicienti la piazza, i nostri puristi del marxismo astratto dissertavano sul popolo in rivolta, evocavano “rivoluzioni socialiste” da rivendicazioni sulle libertà civili e contro la repressione del regime di Yanukovich.
Oggi si ripete lo stesso copione. I manifestanti al momento non adottano forme d’azione particolarmente violente, ma è un dato di fatto che dai paesi limitrofi come baltici, Polonia e soprattutto Ucraina stiano arrivando in Bielorussia fior fior di nazi. E nostri puristi via con le “analisi di classe”, tirando fuori corruzione, operai in rivolta, persino la “Cina imperialista” e vagheggiando su un’opzione diversa dal neoliberismo alle porte di cui la golpista Svetlana Tikhanovskaya è portarice e garante per la Merkel, Macron e ladroni imperialisti vari dell’UE.
In queste stronzate demagogiche si distinguono Sinistra Anticapitalista e il Partito Comunista dei lavoratori, ovviamente trotskisti, ma qui voglio affermare una cosa: che Trotskij stesso li avrebbe presi a calci in culo, dato che lavorare per abbattere un sistema che ha tutt’oggi elementi di capitalismo di stato facendo da apripista al neoliberismo imperialista è una posizione oggettivamente controrivoluzionaria. Semmai la questione è diversa: nel caso specifico della Bielorussia la battaglia politica per il socialismo è tutta interna al sistema politico dato, e non fuori e contro. Proprio perché la caduta di Lukashenko per rivolta sociale porta automaticamente al’instaurazione di una dittatura borghese filo-imperialista esattamente come è accaduto in Ucraina. Ciò dunque non significa ignorare o addirittura appoggiare Lukashenko, la burocrazia post-sovietica, le frattaglie (di fatto anti-consiliari, anti-sovietiche) di un socialismo reale che ha perso anche perché in quanto tale. Significa difendere una sovranità nazionale che è condizione per qualsiasi transizione al socialismo.
Pertanto questo internazionalismo del mondo delle nuvole va rispedito al mittente, e praticare il solo internazionalismo proletario e popolare possibile: difendere e appoggiare la sovranità e l’autodeterminazione dei popoli dalle ingerenze imperialiste che con la democrazia non hanno nulla a che vedere, ma molto con la rapina, lo sfruttamento di manodopera qualificata a costi stracciati e l’acquisizione predatoria di asset importanti come il settore delle macchine agricole, di cui la Bielorussia è all’avanguardia. In definitiva: il vassallaggio politico, militare ed economico all’imperialismo dei paesi NATO.
E’ evidente che di spontaneo in queste proteste non c’è nulla e che forze e agenti esterni, gli stessi che usano la manovalanza nazista come in Ucraina e in generale nei paesi dell’Est Europa, hanno sfruttato il dispotismo di Lukashenko, i suoi 26 anni di potere ininterrotto, ossia le contraddizioni interne della Bielorussia per scatenare un’operazione golpista, che tra l’altro completi l’avanzata militarista a Est della NATO contro la Russia.
A chiosa vorrei solo aggiungere che, come volevasi dimostrare, Trotskij è Trotskij e il trotskismo è il trotskismo: sono due cose diverse, il secondo è in genere (salvo rare eccezioni) la caricatura del pensiero del grande dirigente comunista della Rivoluzione d’Ottobre e comandante dell’Armata Rossa. A Che Guevara, con la sua uccisione a La Higuera fu trovato un quaderno di appunti con ben 38 note sulla Rivoluzione Permanente di Trotskij, e di altre opere come: Quattordici proposizioni sulla rivoluzione permanente, La rivoluzione tradita, Storia della rivoluzione russa, Letteratura, arte e libertà… Mentre il Che studiava le analisi di Lev Davidovich sul “socialismo in un solo paese” e sulla degenerazione burocratica dell’URSS, ovviamente interessato a comprendere anche da Trotskij quali passaggi di strategia politica, quali problemi comporta un processo rivoluzionario al socialismo, dall’altra coniugava i processi rivoluzionari antiperialisti a partire dall’America latina dentro una strategia più generale di affermazione del Socialismo e quindi del suo campo storicamente dato: URSS e Cina in primis, ma anche la Yugoslavia di Tito. Era conscio delle contraddizioni interne, voleva capire il perché di date svolte politiche, scelte economico-sociali e Trotskj era un’importante fonte interna su un dato periodo storico, con molti temi ancora attuali.
Il Che ci indica l’atteggiamento corretto da seguire tra l’altro in un’epoca in cui dirsi stalinisti o trotskisti o titoisti aveva ancora un valore di scelta di campo. Un atteggiamento laico, aperto a voler conoscere e capire dalle battaglie politiche interne al movimento comunista internazionale. Oggi questi “ismi” non hanno più senso. Ma gli idioti del socialismo astratto da una parte e dall’altra restano.