Quella che segue è la mia posizione sulla tattica da perseguire in Italia, ma non solo, per rompere la gabbia UE e avviare il paese a al Socialismo. L’esperienza insegna che un solo paese non è in grado anche a fronte di una radicale opposizione popolare ai trattati UE e alle politiche neoliberiste, di affrancarsi dall’europolo e dall’imperialismo in generale. Il tema dell’internazionalizzazione del conflitto sociale torna a essere elemento guida della politica rivoluzionaria dei comunisti.
La questione nazionale può essere letta solo da un punto di vista anticapitalista (antimperialista) e di classe.
L’Europa è un insieme di paesi a capitalismo avanzato e la maggior parte di questi è all’interno della UE: un blocco economico-sociale, che è un vero e proprio polo imperialista. L’UE ha un’architettura costituzionale di trattati che sanciscono una vera e propria gerarchia nei rapporti intercapitalistici, nell’organizzazione continentale del lavoro, delle filiere interne. L’europolo vede un gruppo di paesi dominanti collocati nel centro-nord Europa, in particolare la Germania con i suoi satelliti e la Francia.
L’incontro di Aquisgrana ha evidenziato questa gerarchia e le linee fondamentali di politica economica e militare dell’euroimperialismo.
Le classi dominanti continentali sono composte dalle oligarchie burocratiche e finanziarie e attraverso i trattati da Maastricht a Lisbona hanno imposto una governance neoliberista inemendabile, che rende impossibile in ogni singolo paese membro ogni politica incentrata sui bisogni sociali, dunque il welfare, l’intervento dello Stato nell’economia che deve essere lasciata completamente alla “autoregolamentazione” dei mercati.
Il risultato di decenni di questa “autoregolamentazione” è la cannibalizzazione che i paesi più forti hanno realizzato con la copertura di Bruxelles, privatizzazioni, acquisizioni, deficit di bilancio, impossibilità con l’euro di adottare svalutazioni competitive e quindi abbassamento dei salari, distruzione dei patti sociali fine novecenteschi, distruzione della contrattazione sindacale, concertazione totalitaria con misure che hanno distrutto la stabilità del lavoro precarizzando milioni di lavoratori, messa a profitto dei servizi alla persona, privatizzazioni selvagge, con veri e propri attacchi finanziari alle economie nazionali come accaduto in Grecia.
E’ per questo che di fronte alla volatilità dei capitali, ai movimenti della turbofinanza, alle politiche comunitarie che distruggono interi comparti produttivi, il ritorno a una centralità dei territori e delle comunità è un passaggio fondamentale per il quale nessun euroriformismo dalla “buona volontà” può muoversi, dato che l’unico modo per bloccare l’austerità e la distruzione delle economie nazionali è rompere la gabbia dell’UE, la sua architettura politica e costituzionale.
Il Movimento NoTav per esempio non è una semplice lotta di valligiani che “non vogliono il progresso”, ma è l’emblema di uno scontro tra un capitale deterritorializzato con i suoi processi di accumulazione capitalistica e dei profitti e dall’altra una comunità che giustamente decide che un’opera inutile e dannosa che distrugge ecosistema e salute non s’ha da fare… chi decide dunque? Il capitale e i suoi apparati nazionali e sovranazionali al suo servizio (Lenin, lo stato comitato d’affari…) o il popolo, chi vive nel territorio, la classe?
Portato sul piano nazionale, la questione è la medesima e non pertiene alcun nazionalismo, bensì la più tipica lotta di classe in un paese a capitalismo maturo: la lotta tra masse popolari, proletarie e capitale. La questione nazionale è semplicemente questa: chi decide cosa?
E chi meglio della classe operaia e dei settori precari della società possono rappresentare gli interessi di una nazione, nello sviluppo di una coscienza di classe, di una solidarietà sociale e di un’egemonia nel paese?
Ma detto questo, è proprio di coscienza di classe che c’è bisogno, non di patriottismo.
Oggi il patriottismo che sta nascendo, e che è egemone nel paese, è quello nazionalista e sciovinista. E’ partito con i porti chiusi, con una massa condizionata a trovare un falso nemico responsabile di una causa altrettanto falsa. E non ci vuole molto a cambiare nemico.
La costruzione di un esercito europeo e della Eurogendofor presuppone l’edificazione di un apparato ideologico veicolato per campagne sul terreno della comunicazione di massa secondo le linee guida del blocco imperialista atlantista a dominanza USA. La tendenza alla guerra verso est, contro la Russia è ormai piuttosto chiara.
L’Unione Europea lavora per avere un ruolo attivo e di forza rispetto agli alleati e in particolare gli USA.
La guerra alla Russia è una delle due ragioni che ha portato a inaugurare una diversa narrazione sull’Europa (vedi la risoluzione al parlamento europeo che equipara comunismo e nazismo), su chi la liberò nella Seconda Guerra mondiale, sul fatto che nasce un meta-patriottismo europeista che unisce le forze tradizionali neoliberali e “socialiste” europeiste ai sovranismi parafascisti dei paesi dell’est e dei loro governi anti-russi in preparazione della guerra esterna e nel contempo che unisca anche le forze reazionarie interne, globaliste e sovraniste contro le opposizioni sociali di segno anticapitalista e comunista, nel passaggio emergenziale di guerra imminente. Del resto, al di là del teatrino dei pupi, PD e Lega, così come il M5S colpiscono uniti (dando l’idea di marciare divisi per pura competitività su ruoli e poltrone…) sulle questioni care al neoliberismo che sia di campanile che sovranazionale: autonomia differenziata, TAV, politiche sul lavoro, di controllo sociale… sono i temi fondamentali del potere borghese oggi.
Il nazionalismo guerrafondaio è dietro l’angolo, si è ben collaudato con il razzismo salviniano e le vere scelte anti-migranti che non sono state fatte dal segaiolo di Pontida, ma da un vero tecnico delle misure repressive e discriminatorie come Minniti.
Se le sinistre anti-UE finiscono col porre la questione nazionale facendo il verso ai nazionalisti, pur con le migliori intenzioni, devono sapere che il patriottismo, se non hai un esercito occupante in casa che rastrella e fucila o non sei basco o irlandese con spagnoli e inglesi che ti occupano in modo integrale, alla fine diventa sciovinista. C’è chi con le sue vulgate sa fare questo mestiere molto meglio delle sinistre. E si è preparato il terreno già da tempo con una massa incazzata con i migranti e che non sa neppure dove stia di casa chi la sfrutta o la cogliona.
Al contrario il lavoro politico va fatto sull’anticapitalismo, la coscienza di classe, la solidarietà sociale. Non c’entra un cazzo la patria. Non portiamo acqua al mulino altrui: è folle in tempi di guerra.
Questo è ancor più vero se consideriamo che un paese da solo non rompe alcuna gabbia UE: lo si è visto con la Grecia nel 2015. Solo lavorando per internazionalizzare il conflitto sociale, unendo le specificità, le comunità popolari dei vari paesi in un’identità comune, internazionalista e di classe, di chi vuole essere sovrano ma contro gli sfruttatori, si può dai filo da torcere al nemico e cambiare i rapporti di forza rompendo la gabbia euroimperialista.
Certo che non è facile. Ma non lasciamoci abbindolare da false scorciatoie.