Lo cantava Claudio Lolli ne La socialdemocrazia, mentre Valerio Eangelisti diceva che il nemico non è quello al tuo fianco. E neppure quello che hai di fronte aggiungo io. Il nemico è quello che sta sopra di te, che ti manda a combattere, mentre a casa la tua famiglie vive nelle ristrettezze dell’economia di guerra. La questione è sempre la stessa: o guerra imperialista, tra potenze del capitale o lotta di classe. E in quest’ultimo caso il pacifismo può essere un atteggiamento politico utile per lo sviluppo di un movmento della guerra, che però diviene risolutore se si vanno ad attaccare le strutture e le infrastrutture militari del nemico.
Evangelisti cita che ne l’Internazionale, nella sua versione francese, c’è l’esortanzione a sparare ai propri ufficiali. E’ esattamente questo: l’antimilitarismo è molto di più del pacifismo, perche la pace c’è quando fiisce la guerra e quando c’è la guerra la devi combattere. Solo che non la combatti per i tuoi padroni e per un governo asservito alla potenza dominante che ha fatto del tuo paese un protettorato e della popolazione carne da macello.
E allora alla guerra occorre rispondere con la guerra: guerra alla guerra. Certo, trattasi di una guerra diversa da quella delle cannoniere, ma sempre guerra è se si diserta, se si boicotta, se si sciopera, se si mettono in atto azioni di sabotaggio, se poi nelle condizioni soggettive e oggettive favorevoli si passa alla guerriglia o a un esercito di liberazione popolare.
Ci hanno sfracassato le palle per decenni spacciando per terrorismo ogni forma di violenza politica contro lo stato borghese e i capitalisti, e inducendoci a essere mammolette che lottano responsabilmente, o meglio, fanno finta di lottare sotto l’egida di sindacati e partiti di sinistra corrotti che hanno il solo compito di far passare le politiche di un sistema capitalista. E adesso che alle grandi corporation e al grande capitale finanziario, alle lobbies imperialiste la guerra serve e serve mandarci noi, ribaltano tutta la questione. Ed entrano in ballo i Vecchioni, gli Scurati, gli Augias con quello che pensano essere l’unico collante possibile per un popolo che nonsa neppure dove stia Helsinki: l’europeismo. E a colpi di Hegel e Spinelli, di Pirandello e Socrate ci raccontano una storiella che non appartiene al popolo né italiano né finlandese.
Ma la storiella non attacca e la maggior parte della popolazione italiana, sondaggi alla mano, è stracontraria alla guerra e al riarmo. Non sono tutti bolscevichi in attesa dei colpi della corrazzata Aurora, ma cittadini che sanno bene a quale catastrofe porterà questa politica guerrafondaia. Ed è qui che subentriamo noi. Non ci vuole tanta ideologia, solo buon senso per restare in vita nei prossimi dieci anni. Questo è il cuore della lotta esistenziale che dobbiamo condurre in piena assonanza con la nostra popolazione.
La nostra guerra alla guerra e la nostra ostilità a un nemico che dobbiamo saper indicare con esattezza alla popolazione, inizia da semplici manifestazioni, ma poi nello sviluppo estensivo dovrà essere in grado di contrastare fino a bloccare la macchina bellica che si metterà in moto. Questo è guerra alla guerra. Una qualità diversa persino dalle nostre velleità rivoluzionari combattenti dei Settanta, perché la rivoluzione non è nella riproduzione pedissequa di ciò che fu fatto nel Novecento, ma nella consapevolezza che i nostri padri costituenti ci hanno consegnato in eredità una Carta dove c’è quasi tutto, fuorché il socialismo integrale, ossia il ripudio della guerra, la libertà di parola, l’uguaglianza tra cittadini, un’economia i cui interessi privati sono subordinati ai bisogni e agli interessi della comunità nazionale. Non è poco. E non è mai stato applicata.
E’ proprio perché non è mai stato applicata che oggi, pur osannadola furbescamente, i servi delle grandi oligarchie che dominano vogliono aggirare la Carta, vanificarla e rederla definitivamente un’inutile pezzo di carta, un involucro inservibile a giustificare la fine di ogni democrazia, anche la loro, quella borghese liberale.
Siamo dalla parte della ragione a contrastare ogni atto di guerra e rivolgerlo contro i traditori. Ma la ragione non basta. Lo sviluppo di una lotta generalizzata presuppone la capacità di entrare nei cuori e nelle menti della popolazione. Questo il nemico lo sa e di emergenza costruita in emergenza si inventa dei nemici interni, ossia noi. Ecco perché la comunicazione in tutt le sue forme è fondamentale. Durante la pandemia e nel passaggio alla guerra sono nate web tv che danno voce ai più diversi intellettuali e analisti, che se non altro vanno a comporre nel loro insieme una narrazione diversa e confliggente al mainstream sempre più inattendibile e propagandistico. La propaganda è dei Mentana, dei Parenzo, non chi ragiona guardando la situazione nel suo evolversi. E la ragione sta emergendo: basta solo vedere cosa diceva un Orsini due anni fa e cosa dicevano i trionfalisti che pensavano che Zelensky sarebbe arrivato a Mosca con tutti gli onori. Ormai le loro balle possono avere credito solo nei fanatici e in coloro (e sono tanti) che non hanno altre fonti da cui attingere le notizie che i media ufficiali, peggiori della EIAR fascista.
Oggi a sinistra esiste un media e una rete che lo sostiene. Un mezzo di informazione che ha iniziato a orientare polticamente e ad associare una buona parte della sinistra di classe, o meglio: della lotta di classe. Ovviamente ha iniziato dalle potenziali avanguardie di classe antimilitariste e antimperialiste. Parlo di Ottolina TV e Multipopolare. Occorre proseguire, anche imparando dai limiti e dagli errori. Ma questo è un avamposto nella guerra alla guerra imperialista e alla macelleria neoliberista da cui non si deve recedere. Possiamo dire che finalmente la sinistra che pensa a un mondo diverso si sta svegliando. Ci sta indicando che un altro mondo è possibile: basta vedere cosa sta avvenendo fuori dai confini dell’atlantismo che sta andandoin pezzi. Ci sta indicando il multipolarismo che significa sovranità nazionale, cooperazione paritaria tra i popoli, possibilità di emancipazione al socialismo da parte delle classi lavoratrici, ancora più possibile se si esce dalla gabbia atlantista del TINA (there is not alternative). Un’emancipazione che va pensata non secondo i manualetti dottrinari, ma secondo le condizioni storiche, economico-sociali e politiche concrete e le composizioni sociali di classe. Che rimette al centro il comune sul privato, lo stato piano per gli interessi della collettività sui piani di consorteria finalizzati a mantenere e incrementare profitti e potere di pochi. Anche questo non è poco.
Ora penso che sia più chiaro chi sia il nemico e la necessità di combatterlo, in un’era storica che per l’umanità è esistenziale.