Ormai persino le pietre sanno che milioni di persone di origini e religione ebraica sono contro il sionismo.
Questo è un aspetto della rivoluzione sociale mondiale che sta investendo l’Occidente collettivo. E la censura, le fake news, tutto l’armamentario di propaganda goebbelsiana, la potente nazi-hasbara, non possono fermare questo processo culturale e politico di vasta portata. E prima o poi anche una certa indifferenza diffusa, sulla quale contano le élite imperialiste sanguinarie, crollerà. Perché lo sappiamo bene dall’esperienza del ’68: quando un’onda si propaga a tsunami avvengono forti cambiamenti.
L’altro aspetto che caratterizza lo scontro mondiale in atto è tra unipolarismo atlantista genocidario, bellicista e golpista e il multipolarismo.
Anche qui l’architettura guerrafondaia troverà la medesima onda nei paesi occidentali.
Il punto è collegare tutti questi contesti e portarli alla vera causa della crisi economica (declino, fine del dollaro…) storica, politica, morale dell’Occidente suprematista, imperialista, coloniale: il capitalismo.
Parte dell’intellettualità borghese come questa intellettuale di origine ebraica, si fermerà a un certo punto. Una volta fermato il genocidio e mettiamoci pure il crollo del sionismo come fu per l’apartheid in Sudafrica.
Ma sta a noi proseguire e portare fino in fondo la rivoluzione. Vi do però una notizia: non è quella avvenuta nel Novecento. La contraddizione capitalismo e socialismo non si affronta con la vetusta cassetta degli attrezzi. Tutto l’armamentario del comunismo novecentesco non serve più. E questa è la ragione perché io oggi sia ancora senza un partito pur impegnandomi nel contesto in cui sono.
Certo, c’è la necessità di dotarsi di un’organizzazione d’avanguardia all’altezza delle nuove composizioni sociali e di classe, delle modalità di relazione e comunicazione odierne. Ma queste non nasceranno da qualche partitino dottrinario che ripete le eterne verità.
Saranno le nuove generazioni a far giustizia del nostro pattume ideologico.
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NOTA
Nell’immagine in evidenza:
La regista Sarah Friedland ha denunciato, “come artista ebrea americana”, il “genocidio israeliano a Gaza”, in occasione del conferimento di un premio all’81ª Mostra del Cinema di Venezia, sabato scorso.
La regista ha ricevuto diversi premi (tra cui quello per la miglior regia) per il suo film “Familiar Touch”, presentato nella sezione parallela Orizzonti, che segue la vita di un’ottuagenaria in una casa di riposo.
“Come artista ebrea americana (…), devo rilevare che accetto questo premio nel 336° giorno del genocidio israeliano a Gaza e nel 76° anno dell’occupazione”, ha dichiarato sul palco del Palais du Cinéma.
“Credo che sia nostra responsabilità, come operatori del cinema, utilizzare le piattaforme istituzionali attraverso le quali lavoriamo per affrontare l’impunità di Israele sulla scena mondiale. Sono solidale con il popolo palestinese nella sua lotta per la liberazione”, ha aggiunto.
(Quotidien en Palestine occupée)