Riprendo a scrivere sul mio blog, postando un contributo dal mio fb, che poi ha preso in un paio di commenti un’altra direzione. E’ importante comprendere come oggi vada ricostruita un’opposizioe antisistemica e tornare a ragionare su quale alternativa politica, quali alleanze sociali in questo processo di centralizzazione del capitale, riorganizzazione delle filiere, ridefinizione di una governance biopolitica, in cui gli stessi dettami della democrazia liberale vengono stravolti oltrepassando quel campo di diritti acquisiti in duecento anni di storia dell’Occidente capitalistico.
La questione del socialismo, cosa oggi è o non è, così come il posizionamento nei conflitti sociali, sono gli aspetti trattati in questo scambio di idee. Buona lettura.
Ho visto una locandina su “Cina socialista, nuova via della seta”, un’iniziativa che si terrà domani a Milano e mi è scesala catena.
Io posso capire che tatticamente si facciano scelte per sconfiggere l’unipolarismo atlantista, ossia l’imperialismo, la catena imprialista che è a egemonia statunitense (non penso che vi siano altri paesi definibili come imperialisti al di fuori di questo blocco geopolitico. Ma non mi si spacci la Cina per socialista. Se questi sono paesi imperialisti non necessariamente gli altri sono socialisti o progressisti (anche su questo termine avrei da ridire).
C’è chi è ancora in cerca del grande papà dopo la fine dell’URSS e confonde lucciole per lanterne, per socialismo un paese che in fatto di soializzazione dei mezzi di produzione, proprietà collettiva o di tutto il popolo dalla morte di Mao è solo regredito. Gli va solo dato atto di aver sviluppato una politica diversa dal neoliberismo delle privatizzazioni, della deflazione salariale, più vicina al nostro welfare del nostro dopoguerra (Cicalese), che non ha abbandonato la centralizzazione non dei poteri economici, ma della politica nelle mani di burocrazie di stato e di partito e non di trust privati. Ma con questo ha lavorato di fatto all’accumulazione capitalistica più in generale, favorendo le delocalizzazioni del grande capotale occidentale e i suoi cicli di produzione con le zone speciali. Per non parlare di una vera e propria integrazione tra capitali. Basta vedere dove vanno a investire Black Rock, Vanguard e compagnia cantante.
Non prendiamoci in giro: la Cina è un paese capitalista, non nel senso classico, ma non è comunque socialismo. Bastano solo queste quattro righe per definire la questione.
Tutte queste iniziative non fanno altro che ostacolare la ricerca di un percorso realmente rivoluzionario e per il socialismo anche in Occidente. Un pecorso che per essere tale non può che reggersi su due gambe: la socializzazione dei mezzi di produzione, anche solo nelle sue tappe di transizione e sui soviet, o consigli, ossia su una democrazia popolare reale e non fittizia, di casta, burocratica. Nè l’una né l’altra esistono più in Cina. Per cui: di cosa stanno parlando? Affermare queste evidenti realtà non significa non schierarsi per il multipolarismo.
Ma per favore, non prendiamoci in giro.
Commento di F.C.:
Il punto sai qual’è caro Nico? che c’è uno sputtanamento generale. Pertanto è difficile avere discussioni pacate. Chi promuove l’iniziativa di cui parli è stato senatore nella Rifondazione di Bertinotti, poi entrato nel Pdci di Diliberto già in disarmo dopo il fallimento della Sinistra Arcobaleno. Quello che mi chiedo come si è fatto a non capire che quelle scelte dalla desistenza all’appoggio al governo Prodi sarebbero state esiziali per il comunismo italiano e lo hanno condotto progressivamente alla frantumazione irreversibile dei giorni nostri? Anche per tali ragioni mi è sembrato davvero incomprensibile che quest’estate alcuni compagnucci abbiano dato l’appoggio ad un De Magistris (per giunta entrato in politica come parlamentare europeo di Italia dei Valori di Di Pietro, ma di che parliamo…) che ricalca in piccolo la riedizione di esperienze arcobaleniste che hanno fatto il loro tempo.
Mia risposta a F.C.:
hai ragioni da vendere. Quello che però mi mette in una posizione critica rispetto alle varie opzioni dell’attuale sinistra di classe non è tanto la provenienza discutibile di determinati soggetti, ai quali potrei anche lasciare il beneficio del cambiamento in meglio, bensì la chiave di lettura di quanto è accaduto negli ultimi tre anni, il non riconoscere gli aspetti portanti dell’attacco capitalistico sulla classe e più in generale sulle popolazioni, leggi territori VS turbofinanza dei flussi che non hanno territori. Si è scambiato il cosmopolitismo borghese per internazionalismo, la scienza di classe per buona prassi terapeutica se non salvifica, per fascio-terrapiattisti e rossobruni, soggettività che spesso senza alcuna cifra ideologica e progettuale hanno saputo praticare l’antagonismo e la ribellione sociale anche meglio delle varie organizzazioni storiche della sinistra radicale e sindacale.
E’ come se ci fosse stato uno stop mentale che si è ripercosso anche sulle nuove generazioni. E’ rimasta solo la vulgata massimalista sui vari miti fondativi della sinistra e del comunismo italiano, dalla Resistenza alle generiche lotte sociali. Non hanno saputo cogliere il nuovo, né nella controrivoluzione, né nell’antagonismo sociale.
E poi diciamolo: oggi non è la destra classica, fascista a essere espressione della reazione imperialista, delle oligarchie finanziarie e multinazionali, ma la sinistra (prendi il termine nella sua comune accezione). Oggi sono i dem a essere l’asse portante nella guerra, come lo sono stati nella gestione pandemica e ancor prima nelle politiche di devastazione del potere contrattuale nel rapporto capitale/lavoro (tutt’oggi). E apparentarsi in modo critico con questa area, o anche solo mettere sullo stesso piano nemici che hanno ruoli diversi e che sono espressione di borghesie confliggenti tra loro significa fare solo confusione, se non andare a servire pur inconsapevolmente il re di prussia.
L’esempio più marchiano è Melenchon, che non giudico per il fatto di essere un massone, ma per il fatto che nella guerra tra Russia e NATO (i naziucraini sono solo carne da cannone e l’Ucraina un’espressione geografica), in una sorta di par condicio demenziale, va ad appoggiare la “resistenza” ucraina, facendo da puntello di fatto alla NATO.
Non a caso la sua visione come quella di De Magistris è europeista, critica fin che vuoi ma interna al campo dem di cui ti accennavo prima. Ma compagni che per anni si sono battuti per l’uscita dalla UE e dalla NATO non se ne rendono conto? Melenchon è stato pure invitato come Pablo Iglesias nella campagna elettorale di UP come testimonial di prestigio.
Io so benissimo che in UP, PaP, USB ci sono sinceri compagni antimperialisti, comunisti che non scazzano, ci ho marciato fianco a fianco fino a ieri, ma questa è una contraddizione politica troppo gigantesca. Gente che sostiene persino la Resistenza del Donbass… inconcepibile. Per smerdare Melenchon basterebbe fare un po’ di cronistoria sulla questione ucraina, e accostare l’operazione russa a quella degli imperialisti anglosassoni che utilizzarono la nostra Resistenza contro i nazisti… cosa dovevamo fare noi, il CLN, il PCI? E cosa avrebbero dovuto fare i partigiani russofoni? Il come schierarsi è piuttosto chiaro, anche considerando il nemico principale per il proletariato mondiale, per i popoli.
Ma su questo non c’è stato il pur minimo dibattito in PaP e in UP, così come sulla pandemia e la gestione nazivaccinale e del greenpass.