Il vero pericolo nazionalista e guerrafodaio è l’europeismo

Il vero pericolo nazionalista e guerrafodaio è l’europeismo

E’ evidente ormai anche ai meno svegli, come l’iniziativa a piazza del Popolo di sabato scorso, promossa da Michele Serra, pagata a quanto pare dal sindaco PD Gualtieri e gestita dagli armieri di Stellantis che possiedono La Repubblica e la Leonardo, sia stata una kermesse tutta a vantaggio del riarmo e dell’allarmismo bellico. Un’allerta del tutto creato ad arte (la Russia non ha né interesse, né intenzione di invadere l’Europa…) e che abbisogna di mobilitazioni popolari e quindi di retorica. Il riarmo che riguarderà non un esercito europeo comune ma i singoli stati, vede già pericolosissimi 1000 mld di euro in Germania e la proposta di 800 mld di euro fatta dagli euroburocrati per contodella Von Der Leyen, che significa consegnare alla finanza rapace con capitali di rischio i soldi dei riaparmiatori europei, ma soprattutto tagli feroci ai servizi più essenziali per la cittadinanza come lasanità, l’istruzione, le opere pubbliche di manutenzione del territorio, ecc.

Sulla sfilata oscena di nani e ballerine di regime in quota PD, ho già scritto su Carmilla qui. Aggiungo solo che, come sostiene il Marrucci su Ottolina tv, il rispolvero del Manifesto di Ventotene, mai considerato per la costruzione della gabbia europea e concentrato di elucubrazioni socialisteggianti più vicine alla massoneria fabiana che a una visione pur dignitosa di un azionismo antifascista, è la foglia di fico di questa congerie di pacifinti guerrafondai piddini, completamente allineati all’opzione GB-Macron-Kallas di escalation bellica, salvo alcuni timidi distinguo della Schlein che nel partito conta come il due di coppe quando briscola è bastoni. Per cui di tale manifesto e delle gite d’annuziane a Ventotene ce ne frega il giusto.

Invece ciò che va evidenziato è che non è il “sovranismo”, ossia l’ipotesi di liberazione del paese dalle pastoie della UE e dalla presenza di basi USA e NATO, a essere il nemico delle classi popolari, ma un nazionalismo inventato dagli euroburocrati che usano ovviamente anche Spinelli (tra l’altro storpiandolo nelle sue mene socialisteggianti) che riguarda un’Europa che nazione non è. Una manfrina che va avanti sin dai tempi di Trotzky sugli Stati Uniti d’Europa e che non ha basi per inverarsi in quanto dentro questo insieme di stati riuniti a stelle gialle da una bandiera blu, c’è solo la legge del più forte e sarà così finché non cambierà sistema economico e sociale, ossia finché saremo nella fase suprema per dirla alla Lenin del capitalismo, ossia: l’imperialismo.

Il peggiore nazionalismo è quello europeista. Così come la lotta per la sovranità del paese nulla ha che vedere né con questo nazionalismo dei sinistrati ztl, che è suprematismo imperialista, né con il nazionalismo delle destre, che comunque assume toni razzistici. Entrambi sono espressione della volontà di potenza delle borghesie dominanti, aggregati in lotta tra loro.

Il nazionalismo europeista, dunque, è stato inventato per scopi un po’ più pragmatici: gestire il processo di accumulazione e predazione capitalistica da parte dei dominanti a svantaggio delle classi popolari interne e dei paesi e popoli nel mondo. Un nazionalismo senza nazione e per questo più difficile da far digerire ai popoli europei che stanno dimostrando un legame con la propria storia e tradizioni che è del territorio in cui si vive, della propria lingua, della koiné.

Oggi però l’epicentro dello scontro è tra questi militaristi ecumenici ma in realtà suprematisti, la cui visione politica e culturale si ferma alla lista di scrittori e filosofi occidentali che Vecchioni ha fatto alla kermesse romana, e i “nazionalisti nazionali”, falsi patrioti, che guardano alle destre classiche, dichiaratamente fasciste, che stanno dietro l’avvento di Trump alla Casa Bianca. Ma quanto meno questi, con il governo Meloni, sono meno propensi ad armarsi e partire e già Tajani fa dei distinguo: Starmer e Macron vogliono mandare truppe in Ucraina? Si potrebbe fare, ma solo sotto l’egida dell’ONU. Per non parlare di Salvini che non dà alcun mandato alla  Meloni, contrarissimo al Rearm Europe. Insomma, non si sono sbroccati il cervello come la Picierno e Calenda. Fascisti sì, ma non imbecilli agli ordini di un deep state USA che dopo la bastonata elettorale ha fatto di Bruxelles e di Londra le sue roccaforti e soffia sul fuoco del proseguimento ucraino della guerra con la Russia.

Le mobilitazioni euro-nazionaliste che il PD intende fare (le prossime sono il 6 aprile a Bologna e successivamente a Firenze…) non sono per la giustizia sociale, sono finalizzate a mettere in crisi il governo Meloni per conto delle euroburocrazie imperialiste: occorre contrastarle esattamente come occorre contrastare il governo. Il concetto è semplice e sempre lo stesso: se ne vadano tutti a casa.

Per questo, occorre essere chiari senza entrare nei pullman CGIL, ANPI e altre associazioni  fintopacifiste in quota ai suprematisti UE: disertare l’UE, la NATO e la loro guerra è un dovere se si vuole ricostruire un pensiero di sinistra internazionalista e al tempo stesso che riapra prospettive politiche di liberazione da questo capitalismo predatorio e militarista e di affermazione dei bisogni sociali delle masse popolari che riparte da uno stato sociale, da uno stato piano nazionale e non da vincoli di bilancio finalizzati a privatizzare tutto, anche l’aria che respiriamo.

Il concetto non è nuovo. Basta vedere Cuba socialista, che unisce il senso di comunità nel paese (patria o muerte) che non ha colore della pelle, religione, ma un’appartenenza comune in un progetto di socializzazione e condivisione sociale e la strategia internazionalista di un secolo e mezzo di lotta di classe, che punta a rompere la catena imperialista laddove questa è più debole.

A margine, per meglio comprendere il punto di vista marxista, inserisco ragionamenti ancora attuali di Lenin, del Che e della Luxemburg e che ho preso da un post di Alessandro Pascale:

“La società socialista si può affermare anche in un solo paese, anche nelle condizioni del più accanito accerchiamento imperialista, come quello che ha dovuto affrontare l’Unione Sovietica”. (Che Guevara)

Così Lenin sull’Europa unita:
«la parola d’ordine degli Stati Uniti repubblicani d’Europa […] è assolutamente inattaccabile come parola d’ordine politica, rimane pur sempre da risolvere la questione del suo contenuto e significato economico. Dal punto di vista delle condizioni economiche dell’imperialismo, ossia dell’esportazione del capitale e della spartizione del mondo da parte delle potenze coloniali “progredite” e “civili”, gli Stati Uniti d’Europa in regime capitalistico sarebbero o impossibili o reazionari. Il capitale è divenuto internazionale e monopolistico. Il mondo è diviso fra un piccolo numero di grandi potenze, vale a dire fra le potenze che sono meglio riuscite a spogliare e ad asservire su grande scala altre nazioni. […] Così è organizzata, nel periodo del più alto sviluppo del capitalismo, la spoliazione di circa un miliardo di uomini da parte di un gruppetto di grandi potenze. E nessun’altra forma di organizzazione è possibile in regime capitalistico. Rinunciare alle colonie, alle “sfere di influenza”, all’esportazione di capitali? Pensare questo, significherebbe mettersi al livello del pretonzolo che ogni domenica predica ai ricchi la grandezza del cristianesimo e consiglia di fare dono ai poveri… […] Certo, fra i capitalisti e fra le potenze sono possibili degli accordi temporanei. In tal senso sono anche possibili gli Stati Uniti d’Europa, come accordo fra i capitalisti europei… Ma a qual fine? Soltanto al fine di schiacciare tutti insieme il socialismo in Europa e per conservare tutti insieme le colonie accaparrate contro il Giappone e l’America, che sono molto lesi dall’attuale spartizione delle colonie e che, nell’ultimo cinquantennio, si sono rafforzati con rapidità incomparabilmente maggiore dell’Europa arretrata, monarchica, la quale comincia a putrefarsi per senilità. In confronto agli Stati Uniti d’America, l’Europa, nel suo insieme, rappresenta la stasi economica. Sulla base economica attuale, ossia in regime capitalistico, gli Stati Uniti d’Europa significherebbero l’organizzazione della reazione per frenare lo sviluppo più rapido dell’America. […] Gli Stati Uniti del mondo (e non d’Europa) rappresentano la forma statale di unione e di libertà delle nazioni, che per noi è legata al socialismo, fino a che la completa vittoria del comunismo non porterà alla sparizione definitiva di qualsiasi Stato, compresi quelli democratici». (Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa, uscito il 23 agosto 1915)
Chiara, così come per Lenin anche per la Luxemburg, l’idea che l’europeismo borghese non sia una ricetta valida, essendo definita un «aborto dell’imperialismo»:
«L’idea degli Stati Uniti d’Europa come condizione per la pace potrebbe a prima vista sembrare ad alcuni plausibile, ma a un esame più attento non ha nulla in comune con il metodo di analisi e con la concezione della socialdemocrazia. […] noi abbiamo sempre sostenuto l’idea che i moderni stati, al pari delle altre strutture politiche, non siano prodotti artificiali di una fantasia creativa, come ad esempio il Ducato di Varsavia di napoleonica memoria, ma prodotti storici dello sviluppo economico. Ma qual è il fondamento economico alla base dell’idea di una federazione di stati europei? L’idea dell’Europa come unione economica contraddice lo sviluppo capitalista per due ragioni. Innanzitutto perché esistono lotte concorrenziali e antagonismi estremamente violenti all’interno dell’Europa, fra gli stati capitalistici, e così sarà fino a quando questi ultimi continueranno ad esistere; in secondo luogo perché gli stati europei non potrebbero svilupparsi economicamente senza i paesi non europei. […] Nell’attuale scenario dello sviluppo del mercato mondiale e dell’economia mondiale, la concezione di un’Europa come un’unità economica isolata è uno sterile prodotto della mente umana. L’Europa non rappresenta una speciale unità economica all’interno dell’economia mondiale più di quanto non la rappresenti l’Asia o l’America».
Sono scritti che partono da oltre un secolo fa e che arrivano agli anni Sessanta del secolo scorso con il Che. Ma che ancora ogg spiegano tante cose e sono di un’attualità dirompente per proseguire il cammino della Rivoluzione, verso “l’hombre nuevo”.